4/05/2019

IVAN OSTROUMOFF: LA RISPOSTA ORTODOSSA ALLA DOTTRINA LATINA DEL PURGATORIO AL CONCILIO DI FERRARA-FIRENZE


Introduzione

L’insegnamento ortodosso sullo stato delle anime dopo la morte è uno di quegli argomenti spesso non pienamente capiti neppure dagli stessi cristianoortodossi, poiché il relativamente recente insegnamento latino sul “purgatorio” ha causato confusione perfino nelle menti delle persone più lontane dal cattolicesimo. La stessa dottrina ortodossa, comunque, spesso non è esposta in forma chiara e precisa. Forse l’esposizione più concisa di tale dottrina è fondata sugli scritti di san Marco d’Efeso al concilio di Firenze nel 1439, convocato particolarmente per rispondere, tra le altre cose, all’insegnamento latino sul purgatorio. Questi scritti ci sono particolarmente preziosi poiche appartengono agli ultimi padri “bizantini” prima dell’era moderna e di tutte le sue confusioni teologiche. Costoro hanno concentrato la nostra attenzione alle fonti della dottrina ortodossa e ci hanno istruito su come avvicinare e capire le fonti stesse. Tali fonti sono: la Sacra Scrittura, le omelie dei Padri, la liturgia della Chiesa, le vite dei santi e determinate rivelazioni e visioni della vita dopo la morte come quelle contenute nel quarto libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno.
Oggi i teologi accademici tendono a diffidare sugli ultimi due o tre generi di fonti, poiché esse, quando parlano di questo soggetto, sono spesso scomode. Così questi intellettuali, qualche volta, preferiscono mantenere una “agnostica reticenza” verso tale tema. D’altra parte gli scritti di san Marco, ci mostrano l’origine delle genuine fonti teologiche ortodosse; coloro che sentono l’imbarazzo per queste testimonianze, rivelano, forse, d’avere contratto un’insospettata infezione d’incredulità moderna.
Dei quattro interventi di san Marco sul purgatorio al concilio di Firenze, la prima omelia ha la sintesi più concisa della dottrina ortodossa contro gli errori latini. Essa è stata principalmente compilata da Marco. Le altre repliche contengono soprattutto argomentazioni per rispondere a questioni latine più specifiche.
Il “capitolo latino” contro il quale san Marco replica è quello scritto dal cardinale Giuliano Cesarini e fornisce l’insegnamento latino già definito all’“unione” nel concilio di Lione (1270), sullo stato delle anime dopo la morte. Quest’insegnamento colpisce il lettore ortodosso (proprio com’è stato colpito san Marco) perché è interamente permeato da un carattere “letterali stico” e “legalistico”. Dal concilio di Lione i latini cominciarono a concepire il cielo e l’inferno come qualche cosa di “finito” e “assoluto”. In tale visione i beati e i dannati dovrebbero possedere già la pienezza dello stato che avranno dopo l’Ultimo Giudizio. In tal modo non c’è alcun bisogno di pregare per chi è in cielo (il cui stato è già perfetto) o per chi è in inferno (giacché quest’ultimi non potranno mai essere liberati o purificati dai loro peccati). Tuttavia per molti dei fedeli morti in uno stato intermedio – non ancora abbastanza perfetti per il cielo, ma non così cattivi da meritare l’inferno –, la logica del ragionamento latino ha richiesto un terzo luogo di purificazione, il “purgatorio”. In esso la persona, i cui peccati sono già stati perdonati, viene punita per “soddisfare” le sue colpe in modo da essere sufficientemente purificata per poter entrare in cielo. Queste questioni legalistiche di “giustizia” puramente umana (che finiscono per negare proprio la suprema bontà di Dio e il suo amore verso l’umanità), sono state sostenute dai latini servendosi di letteralistiche citazioni dai Padri e da varie visioni. Quasi tutte le interpretazioni sono sostenute in forma completamente arbitraria perché nemmeno gli antichi Padri latini hanno parlato di un luogo nei termini sottesi dal concetto di “purgatorio”, ma solo di una “purificazione” dai peccati dopo la morte. Alcuni autori latini vedono questa purificazione come un “fuoco” inteso forse allegoricamente.
D’altra parte nella dottrina ortodossa, secondo l’insegnamento di san Marco, il fedele che è morto con dei piccoli peccati non confessati, o che non ha sviluppato frutti di pentimento per i propri peccati confessati, viene deterso sia nel primo che nel secondo caso, passando nella prova della morte e patendone terrore o, dopo la morte stessa, quando viene confinato (ma non permanentemente) in inferno e da esso viene liberato attraverso le preghiere, le liturgie della Chiesa e i buoni atti compiuti dai fedeli a suo vantaggio. Pure i peccatori destinati all’eterno tormento possono avere un certo sollievo al loro patire attraverso questi mezzi. Ora non esiste alcun fuoco che tormenta i peccatori (visto che il fuoco eterno comincerà a tormentarli solo dopo l’Ultimo Giudizio) e ancor meno essi vengono tormentati da questa pena in qualche terzo luogo come il purgatorio. Tutte le visioni del fuoco viste dagli uomini sono immagini o profezie di ciò che sarà nell’età futura. Ogni perdono dei peccati dopo la morte avviene solamente per la bontà di Dio, bontà che si estende pure a coloro che sono in inferno, con la cooperazione delle preghiere degli uomini e non perché quest’ultimi “pagano” un debito o “soddisfano” l’ira divina per ricevere in cambio il perdono dei peccati del defunto.
Dovrebbe essere posta particolare attenzione che gli scritti di san Marco riguardano principalmente lo specifico stato delle anime dopo la morte e sfiorano appena quanto accade all’anima immediatamente dopo la morte stessa. Sul secondo punto c’è un’abbondante letteratura ortodossa, ma quest’argomento non è stato oggetto di discussione a Firenze.

Introduzione tratta da:
FR. SERAPHIM ROSE, The Soul After Death.



La risposta ortodossa alla dottrina latina del purgatorio[1]

Nella terza seduta del concilio, (il cardinale) Giuliano, dopo le mutue congratulazioni, mostrò i punti principali della discussione dottrinale tra greci e latini:
a.       la processione dello Spirito Santo;
b.      gli azimi nell’Eucarestia;
c.      il purgatorio e
d.      la supremazia papale.

Egli, in seguito, domandò quale di questi soggetti dovesse essere discusso per primo. I greci differirono la discussione del primo punto all’apertura di un concilio ecumenico, promettendo di dare una rapida risposta sugli altri punti appena si fossero consigliati con l’Imperatore. L’Imperatore fissò uno dei due ultimi soggetti per cominciare la discussione[2]. I latini furono d’accordo per discutere sul purgatorio. Nella quinta seduta (il 4 giugno) il cardinale Giuliano fornì la seguente definizione sulla dottrina latina del purgatorio: “Dal tempo degli Apostoli – disse – la Chiesa di Roma ha insegnato che le anime dipartendosi da questo mondo, pure e libere da ogni macchia, vale a dire, le anime dei santi, entrano immediatamente nella beatitudine. Le anime delle persone che, dopo il battesimo, hanno peccato ma che in seguito si sono sinceramente pentite confessando i propri peccati, per l’incapacità di compiere l’epitímia assegnata loro dal padre spirituale, o per l’insufficienza dei frutti di pentimento con i quali fanno ammenda dei peccati, vengono purificate dal fuoco del purgatorio, alcune prima, altre dopo, a seconda dei peccati stessi. Solo dopo la loro purificazione, partono per la terra dell’eterna gioia. Le preghiere del prete, le liturgie e gli atti di carità sono molto utili per la loro purificazione. Le anime di coloro che sono morti in peccato mortale o con il peccato originale, sono invece dirette alla dannazione”[3]. I greci richiesero un’esposizione scritta di questa dottrina. Quando la ricevettero, Marco d’Efeso e Bessarione di Nicea scrissero ciascuno dei commenti su di essa. Tali commenti sono serviti come risposta generale alla dottrina latina[4]. Dando questa risposta (il 14 giugno), Bessarione ha spiegato la differenza sull’argomento tra la dottrina greca e quella latina. Il latini, disse, permettono che da ora fino al giorno dell’ultimo giudizio, le anime vengano purificate nel fuoco, venendo così liberate dai loro peccati; cosicché, chi ha maggiormente peccato resti un tempo maggiore a subire la purificazione, mentre chi ha peccato meno venga assolto al più presto, con l’aiuto della Chiesa. Nella vita futura essi sarebbero ammessi all’eternità e non al fuoco del purgatorio. Così i latini ammettono l’esistenza sia di un fuoco temporaneo che di un fuoco eterno chiamando il primo, fuoco del purgatorio. D’altra parte i greci insegnano solo l’esistenza di un unico fuoco, quello eterno, perché concepiscono la punizione temporale delle anime in peccato come il temporaneo patimento che nasce dal vivere in una dimensione di oscurità e di dolore. Qui la punizione consisterebbe nell’essere privati della luce divina. Colui che viene purificato è liberato da un luogo di oscurità e di dolore, non da un fuoco. La liberazione avviene grazie alle preghiere, alla santa eucaristia e agli atti di carità. I greci credono pure che fino all’unione delle anime con i corpi, le anime dei peccatori non soffrono di una totale punizione, così pure quelle dei santi non godono di una gioia completa. Tuttavia i latini vanno d’accordo con i greci nel primo punto, non ammettendo altro, quando affermano che le anime hanno già ricevuto la loro piena ricompensa celeste[5]. Nella seduta seguente i latini presentarono una difesa della loro dottrina sul purgatorio. Partendo dalle conclusioni della risposta data loro dai greci, essi cercarono di verificare la loro dottrina sul purgatorio con le parole di 2 Mac. 12, 42-46, dove viene affermato che Giuda Maccabeo “ha inviato a Gerusalemme un’offerta per il peccato” rimarcando che questo “era un santo e buon pensiero poiché egli ha fatto una riconciliazione per un morto, per poterlo liberare dal suo peccato”. I latini citarono pure le parole di Gesù Cristo, “Chiunque parlerà contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questo né nel prossimo mondo” (Mt. 12, 32). [Con tal affermazione sarebbe per loro implicito che esistono dei peccati che possono essere scontati nel prossimo mondo]. Tuttavia la loro difesa era particolarmente fondata sulle parole dell’apostolo Paolo (I Cor. 3, 11-15): “Nessuno infatti, può porre altro fondamento che quello che è stato posto, cioè Gesù Cristo. Ora, se uno costruisce sopra questo fondamento con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno si renderà manifesta; infatti, il giorno la renderà manifesta, perché si rivelerà nel fuoco e il fuoco proverà quel che vale l’opera di ciascuno. Se l’opera di qualcuno che ha costruito sopra rimarrà, egli ne riceverà ricompensa; se l’opera di qualcuno invece sarà consumata dal fuoco, ne avrà danno, però si salverà, ma come attraverso il fuoco”. I latini fecero inoltre diverse citazioni dalle opere dei padri orientali: Basilio il Grande, Epifanio di Cipro, Giovanni Damasceno, Dionigi l’Aeropagita, Teodoreto, Gregorio di Nissa; e dai padri occidentali: Agostino, Ambrogio e Gregorio il Grande. Non dimenticarono di citare l’autorità della Chiesa di Roma in difesa della loro dottrina facendo uso del loro consueto metodo sofista. A tutto questo la parte ortodossa diede una risposta chiara e soddisfacente[6]. Gli ortodossi rimarcarono che le parole citate dal libro dei Maccabei e quelle di nostro Signore, possono solo verificare che alcuni peccati saranno perdonati dopo la morte; ma non si sa con alcuna certezza se ciò avverrà attraverso la punizione del fuoco o attraverso altri mezzi. Inoltre, con cosa avviene il perdono dei peccati? Con la punizione attraverso il fuoco o con altri patimenti? Solo una di queste cose può accadere: o la punizione o il perdono, non entrambe contemporaneamente. Per chiarire le parole dell’Apostolo, gli ortodossi hanno citato il commento di san Giovanni Crisostomo, il quale, usa la parola “fuoco”, attribuendogli un significato eterno e non provvisorio, come dovrebbe essere il fuoco del purgatorio. Il santo nei termini “legno”, “fieno”, “paglia”, vede gli atti cattivi, alimento per il fuoco eterno; la parola giorno significherebbe il giorno dell’ultimo giudizio; mentre la frase “verrà salvato come attraverso il fuoco” significa la conservazione e la durata dell’esistenza del peccatore attraverso la punizione della sofferenza. Mantenendo questo chiarimento, gli ortodossi rigettarono quello dato da sant’Agostino, il quale fondandosi sulle parole “sarà salvato”, le comprende nel senso di “avrà una grande gioia”. A partire da questo presupposto si è avuta, di conseguenza, un’interpretazione ben differente. “È proprio giusto supporre – scrissero gli insegnanti ortodossi – che i greci dovessero capire le parole greche meglio degli stranieri. Di conseguenza, se non possiamo verificare che uno di quei santi che parlavano la lingua greca, ha spiegato le parole dell’Apostolo, scritte in greco, in un senso diverso da quello attribuito dal benedetto Giovanni (Crisostomo), allora dobbiamo sicuramente aderire con la maggioranza delle autorità patristiche della Chiesa”. Le espressioni sothenai, sozesthai soteria, usate dagli scrittori pagani, significano costantemente, esistenza (diamenein, einai). Le parole dell’Apostolo nel loro vero significato esprimono questo. Il fuoco naturalmente distrugge, mentre quelli che sono condannati al fuoco eterno non sono distrutti. L’Apostolo dice che i peccatori si preservano nel fuoco nel quale continuano ad esistere sebbene, allo stesso tempo, vengano bruciati. Verificando la verità di tale chiarimento dalle parole dall’Apostolo (vers. 11, 15), gli ortodossi esposero i seguenti commenti: “L’Apostolo divide tutto ciò che è costruito sul fondamento proposto (Gesù Cristo) in due parti, ma non suggerisce mai una terza parte come fosse una fase intermedia. Per oro argento e pietre, egli intende le virtù; per fieno, legno, paglia, tutto ciò che è contrario alla virtù come, ad esempio, le azioni cattive. La vostra dottrina – continuarono ad affermare ai latini – avrebbe forse qualche fondamento se (l’Apostolo) dividesse le azioni cattive in due generi: un genere purificabile da Dio e l’altro degno della punizione eterna. Ma egli non ha fatto tale divisione. Egli elencando semplicemente tali opere (le virtù) destina l’uomo a una grande eterna gioia mentre con le altre opere (i peccati) assegna una punizione eterna”. Dopodiché dice: “Il lavoro d’ogni uomo sarà manifestato” e mostra quando questo accadrà, puntualizzando che nell’ultimo giorno, Dio renderà a tutti secondo i loro meriti. “Il giorno – dice – sarà manifesto, perché sarà rivelato dal fuoco”. Evidentemente, questo è il giorno del secondo arrivo di Cristo, la prossima era, il cosiddetto giorno inteso con un senso ben preciso, giorno che si contrappone alla presente vita la quale, al suo confronto, è notte. Questo è il giorno nel quale Egli verrà nella gloria ed un fiume di fuoco lo precederà. (Dn. VII 10; Ps. 1. 3; XCVII. 3; 2 S. Pt III 12, 15). Tutto questo ci dimostra che le parole di s. Paolo in tal contesto parlano dell’ultimo giorno e del fuoco eterno preparato per i peccatori. “Questo fuoco – egli dice – prova il lavoro d’ogni uomo di qualsiasi tipo esso sia”, illuminando alcune opere e bruciandone altre ma non i loro responsabili. Quindi se l’atto cattivo viene distrutto dal fuoco, chi lo ha compiuto non viene pure lui distrutto, ma la sua esistenza continua nel fuoco subendolo eternamente. Qui l’Apostolo non divide i peccati in mortali e veniali, ma in atti genericamente buoni e cattivi. Il tempo di quest’evento è assegnato dall’Apostolo al giorno finale come ritiene pure san Pietro. Così, nuovamente, attribuendo al fuoco il potere di distruggere tutte le azioni cattive, ma non chi le fa è evidente che san Paolo non parla del fuoco del purgatorio, che, come pare dalla vostra opinione, non concerne tutte le azioni cattive, ma solo i piccoli peccati. Pure la frase: “Se il lavoro di qualche uomo sarà ha bruciato, [egli] soffrirà una perdita, (zemiothesetai, ossia “perderà”) significa che l’Apostolo parla degli eterni patimenti; di coloro che sono privati della luce divina: mentre ciò non può essere detto in chi viene purificato, come voi ammettete. Infatti costoro non solo non perdono niente ma acquisiscono pure moltissimo, essendo liberati dalla cattiveria e rivestiti di purezza e di candore”. I difensori della dottrina ortodossa risposero alle citazioni dei latini – Basilio il Grande (nella sua preghiera per la Pentecoste), Epifanio, Giovanni Damasceno e Dionigi l’Aeropagita – osservando che queste affermazioni non contribuiscono in nulla a sostenere la teoria della Chiesa romana. Essi non poterono trovare la testimonianza di Teodoreto adotta dai latini. “Rimane solo un Padre – continuarono gli ortodossi – il benedetto Gregorio di Nissa, il quale rispetto agli altri, è quello che apparentemente parla maggiormente a vostro vantaggio. Conservando tutto il dovuto rispetto per questo Padre, non possiamo non osservare, che pure lui era un uomo mortale; ed un uomo, a qualunque grado di santità possa pervenire, rimane sempre nella possibilità di errare, particolarmente su argomenti che, come in questo caso, non sono stati precedentemente esaminati o precisati in un concilio generale da tutti i Padri”. Gli insegnanti ortodossi, parlando di Gregorio, più di una volta caratterizzano le loro parole con l’espressione: “se tale era la sua idea”, e concludono la loro discussione su Gregorio con le seguenti parole: “Dobbiamo vedere la dottrina generale della Chiesa e prendere la Sacra Scrittura come una regola per noi stessi, senza porre attenzione a quanto ciascuno ha scritto a seconda della sua personale capacità (idia)”. Riguardo alle testimonianze dei Padri occidentali, gli insegnanti orientali dissero che costoro erano piuttosto ignoranti sul pensiero orientale. Cercarono, tuttavia, di scusarli perché non potevano avere una traduzione dal greco di ogni scritto considerate le circostanze nelle quali essi lavoravano. Hanno così scusato il malinteso sulle parole dell’Apostolo (I Cor III 11, 15) per la difficoltà di poter tracciare una conclusione generale.
Per quel che riguarda l’autorevolezza dell’opinione della Chiesa di Roma difesa dai latini, i greci la dimostrarono incoerente nel modo di affrontare quest’argomento. Alla fine, i latini opposero i loro cavilli alle conclusioni più valide sui principi della dottrina di Cristo, sui molti lavori dei Padri, sulla parabola di Lazzaro nella quale, menzionando il “seno di Abramo” come luogo di grande gioia e l’inferno come luogo di punizione, non si dice nulla riguardo a qualche luogo intermedio per delle punizioni temporali. La risposta greca è stata evidentemente esposta per mostrare ai latini, da un lato, la fallacia della loro dottrina recentemente inventata e, dall’altro, la costanza della fede della parte ortodossa dagli Apostoli ai santi Padri fino ad allora. Nel corso delle dispute la questione principale si suddivise in molte questioni astratte alle cui domande, era sempre più difficile trovare una soluzione. Ad esempio i latini domandarono dove e come gli angeli volano? In che consiste la sostanza del fuoco infernale? L’ultima domanda ha avuto la seguente risposta da Jagaris, l’ufficiale imperiale: “L’investigatore otterrà una soddiscacente risposta alla sua domanda, quando esperimenterà direttamente la natura di quel fuoco”[7]. Non essendo gradita l’esposizione sulla questione del purgatorio si cercò di aggirare l’ostacolo avanzando un’ altra proposta sullo stato di beatitudine del giusto. Tale condizione era stata accennata da Bessarione nel suo trattato sulla differenza delle dottrine tra le due Chiese riguardo alla condizione delle anime dei defunti. Così fu chiesto se i santi, dopo questa vita, raggiungono la pienezza della gioia oppure no. Davanti a questa domanda, i greci fornirono una risposta frutto d’una precedente riunione della loro parte con altri membri del concilio. In tale precedente riunione tutti i membri radunati nella cella patriarcale (il 15 luglio) lessero diverse testimonianze dei Padri. L’Imperatore raccolse i loro voti. Alle parole dell’Apostolo (Eb XI 39), alcuni diedero una risposta negativa, altri una risposta positiva. Il giorno seguente, dopo altre discussioni, tutti i vescovi greci convennero unanimemente al concilio, affermando che, sebbene le anime dei santi, in quanto tali, godono di una grande gioia, alla risurrezione generale nella quale si congiungeranno con i loro corpi, la gioia sarà più grande ancora; ed essi saranno illuminati come il sole[8]. Questa fu la loro ultima risposta alla dottrina latina sullo stato delle anime dopo la morte. Ma allora, che frutti portarono queste tediose discussioni? Avrebbero in qualche modo condotto alla soluzione di una tra le principali questioni riguardo all’unione delle Chiese? Tutt’ altro! I teologi latini non potevano né trovare le prove per le loro affermate opinioni né potevano darne altre. Naturalmente i greci non potevano accogliere una dottrina fondata su prove non buone, né potevano convincere i latini ad accogliere la dottrina ortodossa.
Per sfortuna dei greci, proprio la loro parte si divise e questa circostanza non poteva pronosticare nulla di buono. Bessarione era colui che generalmente interveniva. Egli non era molto serio nella difesa della causa ortodossa e se disputò con i latini, era solo per ostentare le sue capacità oratorie[9]. Incontrando un concorrete in Marco d’Efeso[10], divenne ancor più passivo per la causa ortodossa e cominciò a nutrire un sentimento d’avversione nei riguardi di Marco. Obbligandolo a rispondere ai latini insieme con lui, lo lasciò confutare le loro obiezioni da solo. Invano molte persone prudenti cercarono di riconciliare Bessarione e Marco già all’inizio dell’inimicizia tra i due ricorrendo, pure all’aiuto dell’autorità patriarcale, visto che dai miti rimproveri era prevedibile che si sarebbe potuto facilmente scivolare in un aperto litigio. [Il patriarca] Giuseppe non avrebbe voluto per nulla immischiarsi in quest’affare[11]. Allora l’astuto [protosincello patriarcale] Gregorio fece il massimo per acuire il contrasto tra Bessarione e Marco, cercando di offendere quest’ultimo con l’affermazione che Marco non era un degno vicario del Patriarca di Alessandria[12]. Apparentemente [Gregorio] stimava Marco; in Concilio si sedeva in un seggio inferiore al suo[13], votava dopo di lui, nonostante i maggiori diritti del trono patriarcale al quale apparteneva. Quando la sua opinione coincideva con quella di Marco non si riferiva mai apertamente a lui preferendo indirettamente dire: “Sono della stessa opinione del santo Metropolita di Efeso”[14]. Ma questa era solo ipocrisia. Alla presenza di Bessarione e dell’Imperatore, egli mise Marco in una posizione gerarchica più bassa dell’Arcivescovo di Nicea[15], attribuendogli il difetto di autocontraddirsi in ogni sua affermazione[16]. Così quando cominciarono le discussioni conciliari, sorse tra i greci una separazione tra i veri membri della Chiesa orientale e coloro che sacrificavano il vantaggio della Chiesa per i loro personali interessi e passioni. Quando le dispute finirono, erano già passati più di tre mesi dall’apertura del concilio. I greci rimanendo inattivi, cominciarono ad essere insofferenti[17], sentendosi depressi e tristi per aver abbandonato le loro case.
L’Imperatore, temendo che per la scontentezza venisse prematuramente abbandonato il concilio, ordinò al governatore della città di non permettere ai greci di uscire da essa né di rilasciare dei passaporti senza la sua firma e il suo permesso. Egli stesso, all’insaputa dei greci in Ferrara, era traslocato in un convento non lontano dalla città per adoperare il proprio tempo nella caccia come se fosse cosa spiacevole ricordarsi dell’impegno che lo aveva allontanato dall’Impero[18]. In anticipo sul tempo fissato per l’apertura delle sessioni solenni del concilio, i greci richiesero all’Imperatore di ritornare in città per dare alcune disposizioni al concilio stesso. L’Imperatore rispose che non avrebbe pensato all’apertura di un concilio ecumenico senza gli ambasciatori dei monarchi occidentali e una riunione di vescovi più numerosa di quella presente. Tuttavia i membri del concilio invece di aumentare, diminuirono. Molti furono vittima d’una spaventosa epidemia; altri, per paura del contagio, si rinchiusero nelle loro case, cosicché al principio deiia sessione solenne, invece di undici cardinali rimasero solo cinque e in luogo di centocinquanta vescovi solo cinquanta furono i vescovi presenti. In questo tempo i greci ricevettero una prova della protezione divina: nessuno di loro fu colpito dall’epidemia[19]. Con l’arrivo, il 18 agosto, del Metropolita russo Isidoro si aggiunse al concilio solo una persona. Egli ritornò in Russia dopo la conclusione del trattato tra l’Imperatore ed il concilio di Basilea (alla fine del 1436). Con lui ritornò Giona, vescovo di Riazan, inviato in Grecia per essere ordinato Metropolita. Arrivando a Mosca, Isidoro fu ricevuto con ogni onore dal granduca Vasili Vasilievitch il Grande. Subito dopo il suo arrivo, il granduca seppe che la Chiesa greca aveva sancito un’unione con la Chiesa di Roma, che era stato convocato un concilio con questo preciso fine dall’imperatore e dal papa e che era stata sancita un’unione solenne tra Oriente ed Occidente. A tal fine era stato ritenuto particolarmente necessario che un rappresentante della Chiesa russa prendesse parte all’assise. Il granduca rispose: “I nostri padri e i nostri avi non avrebbero neppure ascoltato una possibile unione tra le leggi greche e quelle romane; io stesso non la desidero”. Isidoro lo spinse ad acconsentire, supplicandolo d’aver fatto un giuramento al Patriarca all’inizio del concilio: “Non ti comandiamo di unirti al concilio celebrato nella terra latina – disse alla fine il granduca – ma di non ascoltarli e di non staccarti da noi. Ricorda la purezza della nostra fede e volgiti contro quanto non è a ciò attinente”. Isidoro prestò giuramento di rimanere nella vera ortodossia e, l’8 settembre 1437, lasciò Mosca con Abramo, vescovo di Suzdal, l’archimandrita Vassian, il prete Simeone ed altri membri del clero e del laicato per un totale di cento persone. Lasciando la Russia, Isidoro dimostrò molto presto una violenta inclinazione a parteggiare con i latini. Ricevuto in Livonia dal vescovo di Dorpat e dal clero ortodosso, salutò dapprima la croce latina e solo dopo baciò le sante icone. I compagni di Isidoro rimasero atterriti dall’orrore e, da quel momento, persero ogni fiducia in lui[20].


[1] [Il presente capitolo è una traduzione tratta da Ivan OstroumoffThe History of the Council of Florence, tradotto a sua volta dal russo da Basil Popoff (Holy Transfiguration Monastery, Boston 1971), pp. 47-60. Le note a piè di pagina sono state rinumerate e i termini citati in greco traslitterati. Tutto il resto è rimasto come nell’originale. Il libro citato è uno tra i più importanti in materia. In esso si possono chiaramente vedere le differenze tra i latini e la Chiesa ortodossa. L’autore lascia che il lettore giudichi da solo quale delle due parti abbia mantenuto la vera fede cristiana. N.d.t.]
[2] Syr. v. 7, 8. Synod. Flor. p. 30.
[3] Syr. v. 13. Synod. Flor. p. 30.
[4] I contenuti della risposta di Marco, non pubblicati in greco, vengono citati da Le Quien in uno dei suoi trattati, precedente alla sua redazione sui lavori di s. Giovanni Damasceno. Dissert. Damas. v. p. 65, et seq. Syropulus, riferendosi alle commoventi circostanze nelle quali avveniva questa disputa, riferisce ai suoi lettori le decisioni e i commenti del concilio sul purgatorio (Praktika hypomnemata peri tou pyrgatoriou, Syr. v. 5). Tuttavia questi scritti non sono pubblicati separatamente e, parimenti, non sono fondati nei manoscritti greci. La risposta dei Padri greci alla questione sul purgatorio, comunicata il 14 giugno 1438, (non a Basilea ma al concilio fiorentino) è menzionata nel libro di Martin KruzeTurcograecia, p. 186.
[5] Synod. Flor. pp. 33, 35.
[6] La risposta usualmente ritenuta dei greci è il lavoro intitolato, Peri tou katharteriou pyros hihlion hen, redatta assieme ai lavori di Nilo Cavasilas e del monaco Barlaam. In tale risposta viene omesso il nome dell’autore. (Nili Archiep. Thessalon. De primatu Papae, edit. Salmasii, Hanov. 1603). Pure il nome del redattore non viene menzionato. Qualche volta si pensa sia Nilo Cavasilas o il monaco Barlaam, sebbene il contenuto dei manoscritti non dia ragione per una tale attribuzione. (Ctrl. Fabric. Bihl. Graec. Ed. Harl. t. XI. p. 384 e 678.) È evidente che il lavoro:
  1. non poteva essere stato scritto nel nome di una sola persona, ma di molte persone che si erano assunte un così lungo travaglio;
  2. che è stato scritto a persone, le quali si erano occupate dell’arrivo dei greci al concilio;
  3. che è stato scritto proprio all’inizio dei dibattiti conciliari, prima di fissare altre questioni. Questa è la ragione per cui le persone che composero tale lavoro cercarono di dare una soluzione pacifica non solo su tale questione ma, possibilmente, su ogni altra, ouk epi tou prokeimenou nyni toutou zetematos, alla kai epi panton isos ton allon. Ekeinon men heineka melei theo kai melesei...;
  4. che fu scritto in risposta alla difesa (apologian) della dottrina romana sul purgatorio.
Tutte queste circostanze dirigono la nostra attenzione alle dispute sul purgatorio che presero luogo a Ferrara e non in altri luoghi da noi conosciuti. Il redattore della Storia del concilio fiorentino, Doroteo di Mitilene, sottolinea che i latini, nella loro seconda risposta si appoggiarono a molte testimonianze tratte dagli scritti dei santi, a molti esempi ed argomenti, usando le parole dell’Apostolo (“però si salverà, ma come attraverso il fuoco”. Synod. Flor. pp. 35, 36. Pure tutto questo fu spiegato nella risposta contro la quale i latini presentarono il lavoro da noi esaminato. Syropulus dice che fu Marco di Efeso a scrivere la risposta alla difesa latina (v. 15). Ma questa risposta, come la prima, non è stata pubblicata. Le Quien, esaminando entrambe le risposte nella sua dissertazione summenzionata, cita i principali pensieri di Marco contenuti nella seconda risposta. Identiche idee, nello stesso ordine, sono pure rinvenibili nel lavoro On Purgatorial Fire, come pure le parole citate da Le Quien dalla seconda risposta di Marco, ti gar koinon aphesei te kai katharsei dia pyros kai kolaseos. Dissert. Damasc. v. pp. 8, 9, 66, 67. Tutti questi argomenti ci permettono di concludere che il lavoro sul fuoco del purgatorio fu o interamente o principalmente composto da Marco di Efeso. Questo è quanto è stato esposto dai greci in risposta alla difesa latina sulla dottrina del purgatorio.
[7] Syr. v. 16, 18. Synod. Flor. p. 35-37.
[8] Synod. Flor. 37-39.
[9] È degno di avviso menzionare che quando i greci, vista l’opposizione ostinata dei latini alla verità, desiderarono terminare ogni discussione, solo Bessarione insistette per continuare. Perciò cambiò l’oggetto di discussione. “Possiamo dire ancora molte cose belle”, furono le sue parole (Polla kai kala)SYR. VII. 6.
[10] Marco, non Bessarione fu incaricato di scrivere una risposta sul purgatorio per i latini; ciononostante Bessarione diede pure una sua risposta.
[11] Syr. V. 14-17.
[12] Syr. IV. 29.
[13] Syr. IV. 32.
[14] Syr. VII. 10.
[15] Syr. V. 14.
[16] Syr. V. 15.
[17] Il primo giorno di paga dei greci fu il 2 aprile: 691 fiorini furono loro dati per l’acconto di un mese mentre la paga dovuta avrebbe dovuto essere di un mese e mezzo. SYR. IV. 28. Il secondo giorno di paga, il 12 maggio, essi ricevettero 689 fiorini (SYR. V. 9); il terzo giorno, il 30 giugno, 689 fiorini; il 21 ottobre, 1218 fiorini per due mesi. Il quinto e ultimo giorno di paga fu a Ferrara, il 12 gennaio 1439, quando furono pagati 2412 fiorini per quattro mesi (SYR. VII, 14). Passarono così tre mesi e venti giorni tra il terzo e il quarto giorno di paga e pure molto tempo tra il quarto e il quinto giorno.
[18] Syr. VI. 1, 2.
[19] Syr. VI. 3.
[20] KaramzinHistory of the Russian Empire, Ernerling’s ed. T.v., pp. 161-165.

3/06/2019

Patriarca Bartolomeo: DISCORSO CATECHETICO PER L’INIZIO DELLA SANTA E GRANDE QUARESIMA


+ B A R T O L O M E O
PER GRAZIA DI DIO
ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA
E PATRIARCA ECUMENICO
A TUTTO IL PLEROMA DELLA CHIESA
GRAZIA E PACE
DAL SALVATORE E SIGNORE NOSTRO GESÙ CRISTO
E DA NOI PREGHIERA, BENEDIZIONE E PERDONO
* * *
Per grazia di Dio donatore di tutto, siamo giunti anche quest’anno alla Santa e Grande Quaresima, allo stadio delle lotte ascetiche, per purificare noi stessi, con la collaborazione del Signore, in preghiera, digiuno e umiltà e per apprestarci a vivere con entusiasmo la Veneranda Passione e a festeggiare la Resurrezione che emana splendore di Cristo Salvatore.
Dentro a un mondo di molteplici turbamenti, l’esperienza ascetica dell’Ortodossia costituisce un preziosissimo capitolo spirituale, una fonte inesauribile di conoscenza di Dio e di conoscenza dell’uomo. L’ascesi benedetta, il cui spirito impregna l’intero nostro modo di vivere – “Ascetismo è l’intero Cristianesimo”, non costituisce un privilegio di pochi o di eletti, ma è “un atto ecclesiastico”, un bene comune, una comune benedizione e una chiamata comune per tutti i fedeli senza eccezione. Le lotte ascetiche non sono, naturalmente, fine a se stesse, non vale il principio “l’ascesi per l’ascesi”. L’obiettivo è il superamento della propria volontà e della “arroganza della carne”, lo spostamento del centro della vita dal desiderio individuale e dal “diritto” nell’amore “che non cerca il proprio interesse“, secondo il detto biblico, “nessuno cerchi il proprio interesse ma quello degli altri” .
Questo spirito predomina durante tutto il lungo corso storico dell’Ortodossia. Nel Nuovo Meterikon (Nuovi detti delle Madri del deserto) incontriamo una splendida descrizione di questo ethos di rinuncia dal “mio” in nome dell’amore: “Si avvicinarono allora alla beata Sara degli eremiti, e la stessa offrì loro un canestro con ciò che avevano bisogno, ma gli anziani lasciando le cose buone, mangiarono quelle avariate. Disse loro allora la venerabile Sara: realmente in verità, siete eremiti” . Questa comprensione e questo uso sacrificale della libertà è estranea allo spirito della nostra epoca, che identifica la libertà con rivendicazioni personali e con legittimismo. L’uomo attuale “indipendente” non mangerebbe i frutti avariati, ma quelli buoni e sarebbe sicuro di manifestare e di utilizzare così in modo autentico e responsabile la propria libertà.
In questo punto si trova il più alto valore della visione ortodossa della libertà per l’uomo attuale. Si tratta di una libertà, che non esige, ma condivide, non reclama ma si sacrifica. Il fedele ortodosso sa che l’indipendenza e l’autosufficienza non affrancano l’uomo dal giogo dell’io, dell’autorealizzazione e dell’autolegittimazione. La libertà, “con la quale Cristo ci ha liberati” , attiva le forze creative dell’uomo, si realizza come negazione dell’autosegregazione, come amore non prestabilito e come comunione di vita.
L’ethos ascetico ortodosso non conosce divisioni e dualismi, non rifiuta la vita, ma la trasfigura. La visione dualistica e il rifiuto del mondo non sono cristiani. L’autentico ascetismo è luminoso e amico degli uomini. È caratteristico dell’autocoscienza ortodossa, che il periodo del digiuno sia impregnato di gioia della croce e della resurrezione. E le lotte ascetiche degli ortodossi, come anche complessivamente la nostra vita spirituale e liturgica, effondono il profumo e la luce della Resurrezione. La Croce si trova al centro della devozione ortodossa, non è tuttavia il punto finale di riferimento della vita della Chiesa. Questo è l’ineffabile gioia della Resurrezione, e la Croce costituisce la via verso di essa. Pertanto, anche durante il periodo della Grande Quaresima, la quintessenza vitale degli Ortodossi rimane il desiderio della “comune Resurrezione”.
Augurate e pregate, onorabili fratelli e figli nel Signore, di essere resi degni, col beneplacito e l’aiuto che viene dall’alto, per intercessione della prima tra i Santi, la Theotokos e di tutti i Santi, di percorrere, in maniera adatta a Cristo e in modo compiacente a Cristo, la lunga via della Santa e Grande Quaresima, praticando con gioia, in obbedienza alla regola della tradizione ecclesiastica, la “comune lotta” del digiuno che sopprime le passioni, perseverando nella preghiera, aiutando coloro che soffrono e coloro che hanno necessità, perdonandoci gli uni gli altri, e “rendendo grazie in ogni cosa” per venerare pieni di devozione la “Santa e Salvifica e Tremenda Passione” e la Resurrezione portatrice di vita del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, al quale spetta la gloria, la potenza e il ringraziamento nei secoli infiniti. Amen.
Santa e Grande Quaresima 2019
+ Il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo
fervente intercessore presso Dio di tutti voi

2/08/2019

P. Seraphim (Rose) di Platina: La visione ortodossa del mondo


La visione ortodossa del mondo

NOTA DEL WEBMASTER:
Proponiamo qui in traduzione una famosa conferenza tenuta dal monaco ortodosso americano p Seraphim (Rose) di Platina. Non concordiamo in tutto con alcune sue conclusioni un po’ semplicistiche, dovute in gran parte al tempo in cui la conferenza fu effettivamente pronunciata, ma nondimeno questo scritto contiene molte considerazioni di enorme importanza per comprendere il punto di vista ortodosso sulla vita spirituale in genere, e più in particolare sul rapporto tra il cristiano e il mondo.
p. Seraphim Rose
P. Seraphim di Platina (1934 – 1982)
Prima di cominciare la mia conversazione, una parola o due sul perché sia importante avere una visione del mondo ortodossa e sul perché sia più difficile costruirne una oggi che nei secoli passati.
Nei secoli passati – per esempio nella Russia del diciannovesimo secolo – la visione ortodossa del mondo era una parte importante della vita ortodossa ed era sostenuta dalla vita attorno ad essa. Non c’era addirittura alcun bisogno di parlare di essa come di un qualcosa di separato – si viveva l’Ortodossia in armonia con la società ortodossa circostante e si aveva una visione del mondo ortodossa data dalla Chiesa e dalla società, In molti paesi lo stesso governo professava l’Ortodossia; essa era il centro di funzioni pubbliche ed il re o il governante stesso era storicamente il primo laico ortodosso con la responsabilità di dare un esempio cristiano a tutti i suoi sudditi. Ogni città aveva chiese ortodosse e molte di loro avevano Offici giornalieri, mattina e sera. C’erano monasteri in tutte le grandi metropoli, in molte città, fuori delle città ed in campagna, nei deserti e nelle regioni non coltivate. In Russia c’erano più di mille monasteri ufficialmente organizzati in aggiunta ad altri gruppi meno ufficiali. Il monachesimo era una parte accettata della vita. Molte famiglie, in effetti, avevano in qualche monastero una sorella o fratello, uno zio o un cugino che erano monaci o monache, in aggiunta a tutti gli altri esempi di vita ortodossa: c’erano pellegrini che vagavano da monastero a monastero e i folli in Cristo. L’intero modo di vita era permeato con specie di persone ortodosse, delle quali, naturalmente, il centro è il monachesimo. I modi di vita ortodossi erano parte della vita quotidiana. Gran parte dei libri che erano letti comunemente erano Ortodossi. La vita quotidiana stessa era differente per mote persone: si doveva lavorare per sopravvivere, la speranza di vita non era grande, la morte era una realtà frequente – tutto delle quali cose rinforzava l’insegnamento della Chiesa sulla realtà e sulla vicinanza dell’altro mondo. Vivere una vita ortodossa in tali circostanze era realmente la medesima cosa che avere una visione del mondo ortodossa e c’era poca necessità di parlare di una tale cosa.
Oggi, d’altra parte, tutto questo è cambiato. La nostra Ortodossia è una piccola isola nel mezzo di un mondo che opera su principi totalmente diversi – ed ogni giorno questi principi cambiano per il peggio, rendendoci più e più alienati da essa. Molte persone sono tentate di dividere le loro vite in due parti nettamente distinte: la vita giornaliera che conduciamo lavorando con gli amici del mondo nelle nostre occupazioni riguardanti il mondo e l’Ortodossia che viviamo le Domeniche ed in altri momenti della settimana quando abbiamo tempo per essa. Ma la visione del mondo di una tale persona, se si esamina da vicino, è spesso una strana combinazione di valori cristiani e del mondo, che in realtà non si mescolano. Lo scopo di questa conversazione è di vedere come le persone che vivono oggi possano cominciare a rendere maggiormente di un unico pezzo la loro visione del mondo, per renderla completamente ortodossa.
L’Ortodossia è vita. Se non viviamo l’Ortodossia, noi semplicemente non siamo ortodossi, non importa quali opinioni formali possiamo avere.
La vita nel nostro mondo contemporaneo è diventata molto artificiale, molto incerta, essa crea molta confusione. L’Ortodossia, è vero, ha una vita sua propria, ma essa pure non è molto lontana dalla vita del mondo attorno ad essa e così la vita del cristiano ortodosso, anche quando è veramente ortodosso, non può far altro che rifletterla in qualche modo. Una specie d’incertezza e confusione sono pure entrate nella vita ortodossa nei nostri giorni. In questa conversazione tenteremo di considerare la vita contemporanea e, quindi, la vita ortodossa, per vedere come meglio possiamo adempiere il nostro obbligo cristiano di condurre vite ultramondane persino in questi tempi pressoché terribili ed avere una visione cristiana ortodossa dell’interezza della vita oggi che ci renda capaci di sopravvivere con fede intatta a questi tempi.

La vita oggi è diventata anormale

Chiunque guardi alla nostra vita contemporanea dalla prospettiva della vita normalmente trascorsa dalle persone nei tempi che ci precedettero – diciamo in Russia o in America o in qualsiasi paese dell’Europa Occidentale nel diciannovesimo secolo – non può fare a meno d’essere colpito da quanto anormale sia diventata la vita al giorno d’oggi. L’intero concetto d’autorità ed obbedienza, di decenza e educazione, di comportamento pubblico e privato – tutti sono cambiati drasticamente, sono stati capovolti eccetto che in poche isolati gruppi di persone – usualmente Cristiani di qualche specie – che tentano di preservare lo stile di vita cosiddetto “di vecchia maniera”.
La nostra vita anormale oggi può essere descritta come decaduta e sovraindulgente. Fin dall’infanzia il bambino d’oggi è trattato, di regola generale, come un piccolo dio nella famiglia; si provvede ai suoi capricci, si accolgono i suoi desideri: egli è circondato da giocattoli, divertimenti, conforti; non è educato ed allevato secondo gli stretti principi del comportamento cristiano, ma lasciato svilupparsi in qualsiasi modo lo inclinino i suoi desideri . E’ usualmente sufficiente per lui dire “Lo voglio!” o “Non lo voglio fare!” affinché i genitori che vogliono gratificarlo s’inchinino davanti a lui e gli lascino fare come vuole. Forse questo non avviene sempre ed in ogni famiglia, ma avviene abbastanza spesso per essere la regola dell’educazione dei figli contemporanea e persino i genitori meglio intenzionati non si sottraggono interamente alla sua influenza. Persino se i genitori tentano di allevare il figlio con cura, i vicini tentano di fare qualcosa d’altro. Essi devono prendere in considerazione questo quando disciplinano il figlio.
Quando un tale fanciullo diventa adulto, naturalmente,si circonda delle medesime cose con cui era abituato a circondarsi nella sua infanzia: conforti, divertimenti e giocattoli da adulti. La vita diventa una costante ricerca di divertimento, la quale, visto che ci siamo, è una parola che non si trova in molti altri vocabolari; nella Russia del diciannovesimo secolo o in qualsiasi civiltà seria, non si sarebbe compreso cosa significhi questa parola. La vita è una costante ricerca di divertimento che è così vuoto di qualsiasi serio significato che un visitatore proveniente da un qualsiasi paese del diciannovesimo secolo, guardando ai nostri diffusi programmi televisivi, parchi di divertimento, avvisi pubblicitari, rappresentazioni cinematografiche, musica – insomma a quasi ogni aspetto della nostra cultura popolare – penserebbe di essere venuto incidentalmente in una terra d’imbecilli che abbiano perso ogni contatto con la normale realtà. Noi spesso non prendiamo in considerazione questo, perché viviamo in questa società e lo diamo per scontato.
Alcuni osservatori recenti della nostra vita contemporanea hanno chiamato i giorni d’oggi la “me generation” e i nostri tempi “l’età del narcisismo”, caratterizzata da un culto e un amore di sé stessi che impedisce lo sviluppo di una vita umana normale. Altri hanno parlato di un universo “di plastica” o di mondo fantastico nel quale vivono oggi così numerose persone, incapaci di fronteggiare o di riconciliarsi con la realtà del mondo attorno a loro o con i problemi dentro di loro.
Quando la “me generation” si volge alla religione – cosa che è accaduta molto frequentemente  negli ultimi decenni – è usualmente verso una forma di religione “di plastica” o di fantasia; una religione di “auto-sviluppo” (dove l’individuo rimane l’oggetto di culto), di lavaggio del cervello e di controllo della mente, di “guru” e “swami” deificati, di una ricerca di “U.F.O.” e di esseri extra terrestri, di gusti spirituali e di sentimenti anormali. Non ci addentreremo in tutte queste manifestazioni, che sono, probabilmente famigliari a gran parte di voi, se non per discutere un po’ più a fondo come questi tocchino la vita spirituale cristiano ortodossa dei nostri giorni.
E’ importante per noi comprendere, poiché noi stessi oggi tentiamo di condurre una vita cristiana, che il mondo che è stato formato dai nostri tempi sovraindulgenti, fa richieste all’anima, sia nella religione che nella vita secolare che dovrebbero definirsi totalitarie. Questo è abbastanza facile da vedere nelle preoccupanti sette che hanno ricevuto tanta pubblicità negli anni recenti e che richiedono totale sottomissione ad un uomo che si è fatto santo da solo; ma è ugualmente chiaro nella vita secolare, dove ci si confronta non solo con una tentazione individuale qua o là, ma con un costante stato di tentazione che attacca l’uomo, che sia nella musica di sottofondo che si ode dovunque nei mercati e negli affari, o nelle indicazioni pubbliche e nei tabelloni pubblicitari delle strade delle città,  nella musica rock che viene portata persino nelle foreste e nei sentieri e nella casa stessa, dove la televisione diventa spesso il governate segreto della famiglia, dettando valori moderni, opinioni e gusti. Se si hanno bambini, si sa quanto ciò sia vero; quando hanno visto qualcosa alla televisione quanto sia difficile lottare contro questa nuova opinione che è stata data dalla televisione come da un’autorità.
Il messaggio di questa tentazione universale che oggi attacca gli uomini – del tutto apertamente nelle sue forme secolari, ma usualmente maggiormente nascosta nelle forme religiose – è: vivere per il presente, godersela, rilassarsi, essere a proprio agio. Dietro questo messaggio ce ne è un altro, sottotono più sinistro che è espresso apertamente solo nei paesi ufficialmente atei che sono, sotto questo rispetto, di un passo più avanti rispetto al mondo libero. In effetti, dovremmo comprendere che ciò che accade nel mondo oggi è molto simile sia che avvenga dietro la Cortina di Ferro sia che avvenga nel mondo libero. Ci sono differenti varietà di esso, ma c’è un attacco molto simile tendente ad impadronirsi della nostra anima. Nei paesi comunisti che hanno una dottrina ufficiale dell’ateismo, si dice proprio apertamente che si deve dimenticare Dio e qualsiasi altra vita al di fuori della presente; rimuovere dalla vita il timore di Dio e la riverenza per le cose sante; ritenere coloro che ancora credono in Dio nel modo  “all’antica” come nemici da sterminare. Si potrebbe prendere come simbolo dei nostri tempi irresponsabili, amanti del divertimento e adoratori di sé stessi la nostra “Disneyland” americana; se così, non dovremmo trascurare di guardare dietro ad essa mentre mostra dove si stia realmente dirigendo la “me generation”: il Gulag Sovietico, la catena di campi di concentramento che già governa la vita di quasi la metà della popolazione del mondo.

Due falsi approcci alla vita spirituale

Ma, mi si potrebbe chiedere, cosa ha che fare tutto questo con noi, che stiamo cercando di condurre, meglio che possiamo, una sobria vita cristiana ortodossa? Ha molto a che fare. Dobbiamo comprendere che la vita intorno a noi, per quanto sia anormale, è il luogo dove cominciamo la nostra vita cristiana. Qualunque cosa facciamo della nostra vita, qualunque contenuto veramente cristiano possiamo darle, essa ha ancora qualcosa del regno della “me generation” su di essa e dobbiamo essere abbastanza umili da vedere questo. Ecco dove cominciamo.
Ci sono due approcci falsi alla vita intorno a noi che molti oggi seguono, pensando che in qualche modo ciò sia quello che i cristiani ortodossi dovrebbero fare. Un approccio – il più comune – è di seguire semplicemente i tempi: adattarsi alla musica rock, alle mode ed ai gusti moderni ed a tutto il ritmo della nostra vita moderna eccitata dalla musica “jazz”. Spesso i genitori più all’antica avranno poco contatto con questa vita e vivranno la loro vita più o meno separatamente, ma sorrideranno a vedere che i loro figli seguono l’ultima stupidaggine moderna e penseranno che ciò sia senza danno.
Questo percorso è un totale disastro per la vita cristiana; esso è la morte dell’anima. Alcuni possono ancora condurre una vita esteriormente rispettabile senza combattere contro lo spirito dei tempi, ma internamente essi sono morti o morenti, e – la cosa più triste di tutte – i loro figli ne pagheranno il prezzo in vari disordini psichici e spirituali e in malesseri che diventano sempre più comuni. Uno dei membri principali del culto del suicidio che finì così spettacolarmente a Jonestown quattro anni fa era la giovane figlia di un prete greco ortodosso; gruppi rock satanici come KISS – “Kids in Satan’s Service” – sono composti da giovani provenienti dall’Ortodossia russa; la maggior parte dei membri del tempio di Satana a San Francisco, secondo una recente indagine sociologica – è composta di ragazzi ortodossi. Questi sono solo pochi casi di particolare impatto; gran parte della gioventù ortodossa non va a tal punto fuoristrada – essi semplicemente si mescolano col mondo anticristiano che li circonda e cessano di essere esempi per quelli intorno a loro di qualsiasi specie di Cristianesimo.
Questo atteggiamento è sbagliato. Il Cristiano deve essere differente dal mondo, soprattutto dallo strano mondo d’oggi e questa deve essere una delle basilari cose che egli riconosce come parte della sua educazione cristiana. Altrimenti non c’è nessun motivo per dirci cristiani – tanto meno cristiani ortodossi.
Il falso approccio, all’estremo opposto, è quello che si potrebbe denominare falsa spiritualità: mentre diventano sempre più ampiamente disponibili le traduzioni di libri ortodossi sulla vita spirituale ed il vocabolario ortodosso di lotta spirituale si diffonde sempre di più, si trova un numero crescente di persone che discutono dell’esicasmo, della preghiera di Gesù, della vita ascetica, di stati esaltati di preghiera così come dei santi Padri più esaltati, come S. Simeone il Nuovo Teologo, S. Gregorio Palamas e S. Gregorio il Sinaita. E’ molto bene essere consapevoli di questo lato veramente esaltato della vita spirituale ortodossa ed avere rispetto per i grandi santi che l’hanno veramente vissuta; ma, a meno che abbiamo una consapevolezza molto realistica e molto umile di quanto lontani noi tutti oggi siamo anche solo per avvicinarci ad essa, il nostro interesse in essa sarà soltanto un’espressione in più del nostro universo di plastica centrato su noi stessi. “La ‘me-generation’ diventa esicasta!” – questo è quello che alcuni stanno tentando di fare oggi; ma, in questo periodo, stanno solamente aggiungendo un nuovo gioco chiamato “esicasmo” alle attrazioni di Disneyland.
Ci sono ora libri su quest’argomento molto popolari. In effetti, i cattolici romani si stanno dando molto da fare per questo genere di cose per influenza ortodossa e stanno essi stessi influenzando altre persone ortodosse. Per esempio, c’è un prete gesuita, Padre George Maloney, che scrive ogni genere di libri su quest’argomento e traduce S. Macario il Grande e S. Simeone il Nuovo Teologo e tenta di far sì che la gente sia esicasta nella vita d’ogni giorno. Hanno tutti i generi di ritiro, usualmente “carismatici”; le persone sono ispirate dallo Spirito Santo, presumibilmente, ed intraprendono ogni genere di queste discipline che noi deriviamo dai Santi Padri e che sono ben oltre il livello a cui noi siamo oggi. E’ una cosa pochissimo seria. C’è anche una signora, Catherine de Hueck Doherty (in realtà è nata in Russia ed è diventata una cattolica romana), che scrive libri riguardo a Poustinia, la vita del deserto e Molchanie, la vita silenziosa e tutte queste cose che lei cerca di mettere nella vita come si potrebbe fare con qualche moda per un nuovo dolciume. Questo, naturalmente, è pochissimo serio ed è un segno molto tragico dei nostri tempi. Questa specie di cose esaltanti sono utilizzate da persone che non hanno idea alcuna di cosa si tratti. Per alcuni è soltanto un’abitudine o un passatempo; per altri, che la prendono seriamente, può essere una grande tragedia. Essi pensano di condurre una specie di vita esaltata e in realtà non si sono neppure relazionati con i loro problemi interiori.
Lasciatemi nuovamente  sottolineare che ambedue questi estremi devono essere evitati – sia la mondanità sia la super spiritualità – ma questo non significa che noi non dovremmo avere una consapevolezza realistica delle legittime richieste che il mondo ci fa, o che dovremmo cessare di rispettare e di prendere ben fondate istruzioni dai grandi Padri esicasti e di usare noi stessi la preghiera di Gesù, secondo le nostre circostanze e le nostre capacità. Questo semplicemente deve essere al nostro livello, rimanendo con i piedi per terra. Il punto è – ed è un punto assolutamente necessario per la nostra sopravvivenza come cristiani ortodossi oggi – che dobbiamo comprendere profondamente quali siano i tempi in cui viviamo, quanto poco in realtà conosciamo e percepiamo la nostra Ortodossia, quanto lontani siamo non soltanto dai santi dei tempi antichi, ma persino dal normale cristiano ortodosso di cento anni fa o anche di una generazione fa, e quanto dobbiamo umiliarci solamente per lottare oggi come cristiani ortodossi.

Cosa possiamo fare

Cosa possiamo fare , più specificatamente, per ottenere questa consapevolezza, questa realizzazione, e come possiamo farla fruttare nelle nostre vite? Tenterò di rispondere a questa domanda in due parti: primo, riguardo alla nostra consapevolezza del mondo intorno a noi, divenuto come mai prima nella storia della cristianità  il nostro  nemico cosciente; e, secondo, riguardo la nostra consapevolezza dell’Ortodossia, che, temo, molti di noi conosciamo molto meno di quanto dovremmo, molto meno di quanto dovremmo conoscerla se vogliano conservarla.
Primo, poiché, desiderandolo o meno, noi siamo nel mondo (e i suoi effetti sono sentiti persino in un luogo remoto come qui nel nostro monastero), dobbiamo affrontare lui e le sue tentazioni in maniera onesta e realistica, ma senza cedergli; in particolare dobbiamo preparare i nostri giovani per le tentazioni che essi dovranno affrontare e, per così dire, vaccinarli contro di esse. Dobbiamo essere pronti ogni giorno a rispondere all’influenza del mondo per mezzo dei principi di una solida educazione cristiana.
Questo significa che ciò che un bambino impara a scuola deve essere costantemente verificato e corretto a casa. Non possiamo dare per scontato che ciò che imparerà a scuola sia sicuramente qualcosa di utile o di secolare e che non ha niente a che fare con un’educazione ortodossa. Il ragazzo può imparare utili abilità e fatti (sebbene molte scuole in America oggi falliscano miserabilmente anche in questo; molti insegnanti ci dicono che tutto ciò che possono fare è tenere i ragazzi in classe in buon ordine senza insegnare loro nulla), ma persino se egli ha buoni risultati, impara molti erronei atteggiamenti e filosofie. L’attitudine basilare di un ragazzo ed il suo apprezzamento della letteratura, della musica, della storia, dell’arte, della filosofia, persino della scienza e naturalmente della vita e della religione non devono venire prima di tutto dalla scuola, poiché la scuola darà tutto questo mescolato con la filosofia moderna; deve venire prima dalla famiglia e dalla Chiesa o, altrimenti, il ragazzo è destinato ad essere male educato nel mondo d’oggi, dove l’educazione pubblica è, al meglio, agnostica e, al peggio, apertamente ateistica o anti-religiosa. Naturalmente, nell’Unione Sovietica tutto questo è imposto al ragazzo, con nessuna religione assolutamente ed un attivo programma per fare di lui un ateo.
I genitori devono sapere esattamente cosa s’insegna ai loro figli nei corsi educativi, che sono quasi universali nelle scuole americane odierne e devono correggerlo a casa, non solamente per mezzo di un atteggiamento franco verso questo soggetto (specialmente tra i padri e i figli – una cosa molto rara nella società Americana), ma anche evidenziando l’aspetto morale di quel che viene insegnato, fatto che è totalmente assente nell’istruzione pubblica.
I genitori devono anche sapere quale specie di musica i loro figli stiano ascoltando, cosa è contenuto negli spettacoli cinematografici che essi vedono, a quale specie di linguaggio essi siano esposti e quale specie di esso usino e a tutto questo devono saper dare un atteggiamento cristiano.
La televisione – nelle case in cui non c’è abbastanza coraggio da gettarla fuori della finestra – deve essere strettamente controllata e sottoposta a supervisione per evitare i velenosi effetti di questa macchina che è diventata il principale educatore ad atteggiamenti ed idee anti-cristiani nella casa stessa, specialmente per i più giovani.
Parlo riguardo all’educazione dei figli perché è qui che il mondo per prima cosa colpisce i cristiani ortodossi e li forma a sua immagine; una volta che siano stati formati nel fanciullo atteggiamenti sbagliati, il compito di dargli un’educazione cristiana diventa doppiamente difficile.
Ma non sono solamente ragazzi, siamo tutti noi, che stiamo affrontando il mondo che sta tentando di formarci nell’anti-cristianesimo per mezzo di scuole, televisione, cinema, musica popolare e tutte le altre influenze che si abbattono su di noi, soprattutto nelle grandi città.  Dobbiamo essere consapevoli che ciò che viene gettato su di noi è tutto di un pezzo; ha un certo ritmo, un certo messaggio da darci, il messaggio dell’adorazione di sé stessi, del rilassamento, del lasciare andare, del divertirsi, del lasciar perdere ogni pensiero sull’altro mondo, in varie forme, sia nella musica o negli spettacoli cinematografici, nella televisione o in ciò che viene insegnato nelle scuole; il modo in cui gli argomenti d’insegnamento ricevono enfasi, il modo in cui è dato il retroscena ed ogni altra cosa. C’è una cosa particolare che ci è stata data; essa è attualmente un’educazione all’ateismo. Dobbiamo combatterla conoscendo proprio ciò che il mondo sta cercando di farci, formulando e comunicando la nostra risposta cristiana ortodossa ad esso.
Francamente, se si osserva il modo in cui vivono  le famiglie ortodosse nel mondo d’oggi, soprassedendo alla propria Ortodossia, sembrerebbe che questa battaglia sia perduta più spesso che vinta. La percentuale di cristiani ortodossi che mantengono la loro identità ortodossa intatta e non si sono mutati a immagine del mondo moderno, è veramente piccola.
Nondimeno, non è necessario considerare il mondo attorno a noi come del tutto malvagio. Per la nostra sopravvivenza come cristiani ortodossi dobbiamo essere abbastanza intelligenti da usare per il nostro vantaggio qualunque cosa del mondo sia positiva. Qui percorrerò pochi punti dove possiamo usare qualcosa nel mondo che sembra non avere niente a che fare con l’Ortodossia allo scopo di formulare la nostra visione ortodossa del mondo .
Il ragazzo che è stato abituato fin dai primissimi anni alla buona musica classica ed ha visto la sua anima svilupparsi in essa, non sarà così tentato dal ritmo e dai messaggi crudi della musica “rock” e dalle altre forme contemporanee di pseudo-musica come qualcuno che sia cresciuto senza un’educazione musicale. Una tale educazione musicale, rifinisce l’anima e la prepara per ricevere le impronte dello Spirito.
Il ragazzo educato nella buona letteratura, nel teatro e nella poesia ed ha sentito il loro effetto sulla sua anima – cioè ha realmente goduto di esse -, non diventerà facilmente un devoto entusiasta dei film contemporanei, di programmi televisivi e di romanzi a buon mercato che devastano l’anima facendola deviare dal sentiero cristiano.
Il ragazzo che abbia imparato a vedere la bellezza nella pittura e nella scultura classiche non sarà attratto facilmente dalla perversità dell’arte contemporanea o dagli appariscenti prodotti della pubblicità e della pornografia moderne.
Il ragazzo che sa qualcosa della storia del mondo, specialmente nei tempi cristiani e sa come altri popoli siano vissuti ed abbiano pensato, che sa in quali errori e tranelli sono caduti i popoli a motivo dell’allontanarsi da Dio e dai suoi comandamenti, e quali vite gloriose ed influenti abbiano vissuto quando furono fedeli a Lui – comprenderà la vita e la filosofia dei nostri tempi e non sarà incline a seguire la prima nuova filosofia o modo di vita che incontra. Uno dei problemi basilari riguardo all’educazione dei fanciulli oggi è che nelle scuole non si dà più loro un senso della storia. E’ una cosa pericolosa e fatale privare un ragazzo di un senso della storia. Significa che egli non ha nessuna capacità di prendere esempi dalle persone che vissero nel passato. Difatti, la storia si ripete costantemente. Una volta compreso questo, diviene interessante come le persone abbiano risposto ai problemi, come ci furono persone che andarono contro Dio e quali risultati vennero da ciò e come le persone cambiarono le loro vite e diventarono casi di eccezione e diedero un esempio che vive ancora nei nostri giorni. Questo senso della storia è una cosa molto importante che dovrebbe essere comunicato ai fanciulli.
In generale, la persona che conosce bene i migliori prodotti della cultura secolare – che nell’Occidente quasi sempre ha precise implicazioni cristiane – ha una molto migliore possibilità di condurre una normale, fruttifera vita ortodossa rispetto a qualcuno che conosce solamente la cultura popolare d’oggi. Un convertito all’Ortodossia direttamente dalla cultura “rock” ed in generale chiunque pensi di poter combinare l’Ortodossia con quella specie di cultura – deve passare attraverso molta sofferenza ed ha davanti una difficile strada prima di diventare un cristiano ortodosso veramente capace di dare la fede agli altri. Senza questa sofferenza, senza questa consapevolezza, i genitori ortodossi educheranno i loro figli per essere divorati dal mondo contemporaneo. La miglior cultura del mondo, quando ricevuta propriamente, rifinisce e sviluppa l’anima; la cultura popolare d’oggi disabilita e deforma l’anima e le impedisce di avere una risposta piena e normale al linguaggio dell’Ortodossia.
Quindi, nella nostra battaglia contro lo spirito di questo mondo, possiamo usare le migliori cose che il mondo ha da offrire allo scopo di andare oltre esse; ogni cosa buona nel mondo, se solamente siamo abbastanza saggi da vederla, indica verso Dio, e verso l’Ortodossia e dobbiamo valerci di essa.

La visione ortodossa del mondo

Con un tale atteggiamento – una visione tanto delle cose buone che delle cattive nel mondo – è possibile per noi avere ed accrescere una visione ortodossa del mondo, vale a dire, una visione ortodossa dell’interezza della vita, non solamente su ristretti argomenti ecclesiastici. Esiste una falsa opinione, che disgraziatamente è troppo diffusa oggi, che sia sufficiente avere un’ortodossia limitata all’edificio della Chiesa e attività “ortodosse” formali, come pregare in momenti determinati o farsi il segno della croce; in ogni altra cosa, così si crede, si può essere come chiunque altro, partecipando nella vita e nella cultura dei nostri tempi senza alcun problema, purché non commettiamo peccato.
Chiunque abbia compreso quanto sia profonda l’Ortodossia e quanto sia pieno il coinvolgimento richiesto dal serio cristiano ortodosso e, contemporaneamente, quali richieste totalitarie faccia su di noi il mondo contemporaneo, vedrà facilmente quanto sia sbagliata quest’opinione. Si è Ortodossi sempreogni giorno, in ogni situazione della vita, oppure non si è ortodossi per nulla. La nostra Ortodossia è rivelata non solamente nelle nostre opinioni strettamente religiose, ma in ogni cosa facciamo e diciamo. Gran parte di noi non è assolutamente consapevole della responsabilità cristiana e religiosa che abbiamo per la parte apparentemente secolare delle nostre vite. La persona con una visione del mondo veramente ortodossa vive ogni parte della sua vita come ortodosso.
Chiediamoci dunque qui: come possiamo alimentare e sostenere nella nostra vita quotidiana questa visione ortodossa del mondo?
Il primo e più ovvio modo è di essere in contatto costante con le fonti del nutrimento cristiano, con ogni cosa la Chiesa ci dia per illuminarci e salvarci; gli offici ecclesiastici ed i Santi Misteri, la Sacra Scrittura, le vite dei Santi, gli scritti dei Santi Padri. Si devono leggere,naturalmente, libri che siano al proprio livello di comprensione ed applicare gli insegnamenti della Chiesa alle proprie circostanze nella vita, allora le opere sopra indicate possono essere fruttifere nel guidarci e nel cambiarci in un modo cristiano.
Spesso però queste basilari fonti cristiane non hanno il loro pieno effetto su di noi o non hanno assolutamente nessun effetto, perché non abbiamo il giusto atteggiamento cristiano verso di loro e verso la vita cristiana che si ritiene esse ispirino. Diciamo ora una parola qui riguardo a cosa il nostro atteggiamento dovrebbe essere se dobbiamo ottenere un reale beneficio da esse e se sono destinate ad essere per noi l’inizio d’una visione del mondo realmente ortodossa.
Prima di tutto, il nutrimento spirituale cristiano, per sua stessa natura, è qualcosa che vive e che sostiene; se il nostro atteggiamento verso di esso è semplicemente accademico e libresco, non riusciremo ad ottenere il beneficio che esso dovrebbe dare. Quindi, se leggiamo libri ortodossi o se siamo interessati all’Ortodossia semplicemente per ottenere informazioni, o per mostrare la nostra conoscenza degli altri, non comprendiamo l’argomento centrale; se siamo edotti riguardo ai comandamenti di Dio e alla legge della Sua Chiesa semplicemente per essere “corretti” e per giudicare la “non correttezza” degli altri, perdiamo l’argomento centrale. Queste cose non devono semplicemente avere effetto sulle nostre idee, ma devono toccare direttamente le nostre vite e devono cambiarle. In qualsiasi momento della grave crisi negli affari umani – come i momenti critici proprio di fronte a noi nel mondo libero – coloro che pongono la loro fiducia nella conoscenza diretta verso l’esterno, nelle leggi e nei canoni e nella correttezza, non potranno restare saldi. I forti saranno allora coloro la cui educazione ortodossa ha dato loro una sensibilità per ciò che è veramente cristiano, coloro la cui Ortodossia è nel cuore ed è capace di toccare altri cuori.
Niente è più drammatico che vedere qualcuno che è stato cresciuto nell’Ortodossia, che ha una certa idea del catechismo, che ha letto alcune vite dei Santi, che ha un’idea generale di cosa rappresenti l’Ortodossia, che comprende alcuni dei Sacri Offici e che poi è inconsapevole di cosa stia accadendo intorno a lui. Ed egli dà ai suoi figli questa vita in due categorie: una è il modo in cui vive gran parte della gente e l’altra è come vivono gli ortodossi la domeniche e quando leggono qualche testo ortodosso. Quando un ragazzo è cresciuto così, molto probabilmente non prenderà la categoria ortodossa; essa è destinata ad essere una parte molto piccola della sua vita, poiché la vita contemporanea è troppo attrattiva, troppe persone la seguono, essa è fin troppo parte della realtà odierna. Questo a meno che gli sia stato realmente insegnato come avvicinarsi ad essa, come difendersi contro i suoi cattivi effetti e come approfittare delle cose buone che sono nel mondo.
Quindi il nostro atteggiamento a cominciare proprio da adesso, deve essere a livello del suolo, nominale. Cioè dobbiamo applicarlo alle reali circostanze della nostra vita, non deve essere un prodotto della fantasia, un fuggire dalla realtà o un rifiuto di affrontare i fatti spesso spiacevoli del mondo intorno a noi. Una Ortodossia che sia troppo esaltata e troppo sulle nuvole sarebbe più a suo agio in una serra ed è incapace di aiutarci nella nostra vita di ogni giorno, per non dire della salvezza di quelli intorno a noi. Il nostro è un mondo crudele che ferisce le anime con la sua asprezza; abbiamo bisogno di rispondere per prima cosa con amore realistico e comprensione cristiana, lasciando  l’esicasmo e le forme avanzate di preghiera a quanti ne sono capaci.
Così pure, il nostro atteggiamento non deve essere centrato su noi stessi ma deve spaziare verso coloro che stanno cercando Dio e una vita divina. Oggigiorno, dovunque vi sia una comunità ortodossa consistente, la tentazione è di formarla in una società per la lode di sé stessi e nel compiacersi delle nostre virtù e dei nostri positivi risultati ortodossi: come la bellezza degli edifici delle Chiese e degli arredi ecclesiastici, lo splendore dei nostri Sacri Offici, persino la purezza della nostra dottrina. Ma la vera vita cristiana, sin dai tempi degli Apostoli, è sempre stata inseparabile dalla sua comunicazione agli altri. Una Ortodossia che è viva a motivo di questo stesso fatto illumina gli altri – e non c’è nessun bisogno di aprire un “dipartimento per le missioni” per fare questo; la vita della vera Cristianesimo si comunica senza  bisogno di questo. Se la nostra Ortodossia è soltanto qualcosa che teniamo per noi stessi e intorno a cui siamo eccessivamente orgogliosi, allora noi siamo semplicemente  morti che seppelliscono i morti – cosa che è precisamente lo stato di molte delle nostre parrocchie ortodosse al giorno d’oggi, persino di quelle che hanno un gran numero di giovani, se questi non riescono ad approfondire la loro fede. Non è abbastanza dire che i giovani vanno in Chiesa. Dobbiamo chiedere cosa essi ottengono in Chiesa, cosa prendono dalla Chiesa; e, se non fanno dell’Ortodossia una parte della loro vita intera, allora non è realmente sufficiente dire che vanno in Chiesa.
Parimenti il nostro deve essere un atteggiamento d’amore e di perdono. C’è una specie di durezza che si è insinuata nella vita ortodossa oggi: “Quell’uomo è un eretico; non andare vicino a lui”; “quello è Ortodosso, presumibilmente, ma non si può essere realmente sicuri”; “quello lì è ovviamente una spia”. Nessuno negherà che la Chiesa oggi sia circondata da nemici o che ci siano alcuni che si abbassano ad approfittare della nostra fiducia e confidenza. Ma questo è il modo in cui sono state le cose sin dal tempo degli Apostoli e la vita cristiana è sempre stata una specie di rischio in questo pratico modo. Ma persino se talvolta si approfitta di noi e dobbiamo avere delle cautele a riguardo, tuttavia non possiamo rinunciare al nostro basilare atteggiamento d’amore e fiducia senza il quale perdiamo una delle stesse fondamenta della nostra vita cristiana. Il mondo, che non ha nessun Cristo, può essere senza fiducia e freddo, ma i cristiani, al contrario, devono essere pieni d’amore ed aperti, altrimenti perderanno il sale di Cristo dentro di loro e diventeranno proprio come il mondo, buoni per niente tranne che per essere lasciati in disparte e calpestati.
Un po’ di umiltà nel guardare a noi stessi aiuta ad essere più generosi e a perdonare i difetti degli altri. Amiamo giudicare gli altri per la stranezza del loro comportamento; li chiamiamo “matti” o “pazzi convertiti”. E’ vero che dovremmo essere attenti alle persone realmente squilibrate che ci possono fare grande danno nella Chiesa. Ma quale serio cristiano ortodosso oggi non è un po’ “folle”? Noi non corrispondiamo alle strade di questo mondo; se lo facessimo, nel mondo di oggi, non saremmo cristiani seri. Il vero cristiano oggi non può sentirsi a casa nel mondo; non può evitare di sentirsi e di essere ritenuto dagli altri come un po’ “pazzo”. Il solo fatto di tenere in vita oggi l’ideale di un Cristianesimo non secolare o di essere battezzati da adulti o di pregare seriamente, è sufficiente esser messi in un ospedale psichiatrico in Unione Sovietica e in molti altri paesi e queste nazioni stanno indicando la strada affinché il resto del mondo la segua.
Quindi non dobbiamo avere paura di essere considerati un poco “pazzi” dal mondo e dobbiamo continuare a praticare l’amore ed il perdono cristiani che il mondo non potrà mai capire, ma di cui nel suo cuore ha bisogno e addirittura desidera.
Infine il nostro atteggiamento cristiano deve essere ciò che, non avendo una parola migliore, io definirei innocente. Oggi il mondo dà un alto valore alla sofisticazione, alla sapienza mondana, all’essere un “professionali”. L’Ortodossia non dà alcun peso a queste qualità; esse uccidono l’anima cristiana. E tuttavia s’insinuano costantemente nella Chiesa e nelle nostre vite. Quanto spesso si odono specialmente convertiti entusiasti esprimere il loro desiderio di andare nei grandi centri ortodossi, nelle cattedrali e nei monasteri dove talvolta si riuniscono migliaia di fedeli, dovunque vi sia una qualche importanza ecclesiale e si può percepire quanto sia realmente importante l’Ortodossia, dopo tutto. L’Ortodossia è una piccola goccia nel secchio quando si consideri l’intera società, ma in queste grandi cattedrali e monasteri ci sono tante persone che sembra che essa sia qualcosa di veramente importante. E quanto spesso si vedono queste stesse persone in uno stato pietoso, dopo che hanno soddisfatto il loro desiderio, ritornare dai “grandi centri Ortodossi” irritati e insoddisfatti, pieni di pettegolezzi di Chiesa e di critiche degne del mondo, ansiosi soprattutto di essere corretti ed appropriati e saggi d’una sapienza mondana riguardo alle politiche di Chiesa. In una parola, essi hanno perduto la loro innocenza, la loro separazione dal mondo, essendo stati condotti fuori strada dall’essere affascinati dal lato umano della vita di Chiesa.
In varie forme, questa è una tentazione per noi tutti, e dobbiamo lottare contro di essa per non permettendo a noi stessi di sopravvalutare gli affari esterni della Chiesa, ma ritornando sempre alla sola cosa necessaria: Cristo e la salvezza delle nostre anime da questa generazione folle. Non dovremmo ignorare ciò che accade nel mondo e nella Chiesa – in realtà, dobbiamo saperlo per noi stessi – ma la nostra conoscenza deve essere pratica e semplice e di una sola opinione, non sofisticata e seguace del mondo.

Conclusioni

E’ ovvio per qualsiasi cristiano ortodosso che sia consapevole di cosa accade oggi intorno a lui, che il mondo sta avvicinandosi alla fine. I segni dei tempi sono così ovvi che si potrebbe dire che esso stia crollando verso la sua fine.
Quali sono questi segni?
  • L’anormalità del mondo. Mai manifestazioni e comportamenti strani e non naturali sono stati accettati come cose naturali come nei nostri giorni. Semplicemente guardate al mondo che vi circonda: cosa c’è nei giornali, quale specie di spettacoli cinematografici sono mostrati, cosa si vede alla televisione, cosa la gente ritiene essere interessante e divertente, cosa essa deride; è assolutamente strano. E ci sono persone che deliberatamente promuovono tutto ciò, naturalmente per il proprio beneficio finanziario e perché è di moda, perché c’è un desiderio perverso per questo genere di cose.
  • Guerre e  di guerre, ognuna più fredda e spietata della precedente e su tutte l’incombere dell’inimmaginabile guerra nucleare universale, che potrebbe essere iniziata semplicemente schiacciando un pulsante.
  • I diffusi disastri naturali: terremoti ed ora vulcani – il più recente si sta formando non lontano da qui vicino allo Yosemite Park nella California centrale – che già stanno mutando le condizioni climatiche del mondo.
  • L’aumentare della centralizzazione dell’informazione e del potere sull’individuo, rappresentata in particolare dal nuovo enorme computer nel Lussemburgo che ha la capacità di tenere informazioni su ogni uomo vivente; il suo numero di codice è 666 ed è soprannominato “la bestia” da coloro che lavorano su di esso. Per facilitare il lavoro di tali computer il governo americano prevede di cominciare nel 1984 a concedere assegni di “Social Security” a persone con un numero (apparentemente inclusivo del codice 666) impresso sulla loro mano destra o sulla fronte – precisamente la condizione che prevarrà, secondo l’Apocalisse (cap. 13), durante il regno dell’Anticristo. Naturalmente non significa che la prima persona a ricevere la stampigliatura 666 sarà l’Anticristo od il suo servo ma, una volta che si è abituati a questo, che sarà in grado di resistere? Prima vi addestreranno e poi vi costringeranno ad inchinarvi davanti a lui.
  • Di nuovo il moltiplicarsi di falsi Cristi e di falsi Anticristi. L’ultimo candidato proprio quest’estate ha speso probabilmente milioni di dollari per pubblicizzare la sua imminente apparizione sulle televisioni del mondo, promettendo di dire a quel tempo “un messaggio telepatico” a tutti gli abitanti del mondo. Del tutto separatamente da qualsiasi potere occulto che possa essere coinvolto in tali eventi, noi conosciamo già abbastanza bene le opportunità per presentare messaggi subliminali offerte dalla radio e specialmente dalla televisione, come pure il fatto che questo può essere fatto da chiunque possieda la tecnologia per entrare nel normale segnale della radio e della televisione, non importa quante leggi ci possano essere contro di ciò.
  • La risposta veramente irresponsabile alla nuova pellicola intorno a cui tutti in America parlano e che tutti stanno vedendo: “E.T.” che ha fatto sì che letteralmente milioni di persone apparentemente normali esprimessero il loro affetto ed il loro amore per l’eroe, un “Salvatore” proveniente dallo spazio esterno che è proprio ovviamente un demonio – un’ovvia preparazione per l’adorazione dell’Anticristo che verrà. (E, incidentalmente, il curatore della rubrica degli spettacoli cinematografici del giornale ufficiale dell’Arcidiocesi Greca in America, un prete ortodosso, ha caldamente raccomandato questa pellicola agli ortodossi dicendo che è meravigliosa, che può essere di insegnamento riguardo all’amore e che ognuno dovrebbe vederla. C’è un certo contrasto tra le persone che stanno tentando di essere consapevoli di cosa stia accadendo e quelli che sono semplicemente portati nel sentimento dei tempi.)
Potrei continuare con dettagli come questo, ma il mio scopo è di non spaventarvi, ma di farvi invece consapevoli di cosa sta accadendo intorno a noi. E’ veramente più tardi di quanto noi pensiamo; l’Apocalisse è ora. E quanto è tragico vedere cristiani e soprattutto giovani ortodossi che hanno quest’incalcolabile tragedia che li sovrasta e che pensano di poter continuare ciò che è chiamato una “vita normale” in questi tempi terribili, partecipando pienamente ai capricci di questa generazione stupida ed adoratrice di sé, totalmente inconsapevole che il paradiso dei folli in cui stiamo vivendo sta per crollare, completamente impreparati per i tempi senza speranza che ci sono davanti. La questione ormai non è più quella di essere un cristiano ortodosso “buono” o “cattivo”; la questione ora è: la nostra fede sopravvivrà comunque? Per molti, essa non sopravvivrà; l’Anticristo che sta per venire sarà troppo attraente, troppo nello spirito delle cose del mondo che noi desideriamo avere, perché gran parte degli uomini anche solo sappia che con l’inchinarsi a lui essi hanno perso il loro essere cristiani.
Tuttavia la chiamata di Cristo viene a noi; cominciamo ad accorgerci di essa. La più chiara espressione di questa chiamata oggi sta venendo dal mondo ateo reso schiavo, dove c’è reale sofferenza per Cristo ed una serietà di vita che noi stiamo perdendo rapidamente o abbiamo già perduto. Un prete ortodosso in Romania, Padre Giorgio Calciu, è ora prossimo alla morte in una prigione comunista per avere osato sfidare giovani seminaristi e studenti a lasciar perdere la loro cieca fedeltà allo spirito dei tempi ed a farsi avanti a lavorare per Cristo. Dopo aver parlato della nullità dell’ateismo, egli dice ai giovani d’oggi: “Vi chiamo ad un volo molto più alto, all’abbandono totale, ad un atto di coraggio che sfida la ragione. Vi chiamo a Dio. Colui che trascende il mondo cosicché voi possiate conoscere un paradiso infinito di gioia spirituale, il paradiso che voi attualmente cercate pur nel vostro inferno personale e che cercate persino mentre siete in uno stato di non intenzionale rivolta… Gesù vi ha sempre amati; ma ora voi avete la possibilità di rispondere al suo invito. Rispondendo, ricevete l’ordine d’andare e di portare frutti che rimarranno. Di essere profeti di Cristo nel mondo in cui vivete. Di amare il vostro prossimo come voi stessi e di fare tutti gli uomini vostri amici. Di proclamare con ogni azione quest’amore unico e senza limiti che ha alzato l’uomo dal livello di servo a quello di amico di Dio. L’ordine dato ai profeti di quest’amore liberatorio che vi scioglie da ogni vincolo, ritornando alla vostra integrità nell’offrire voi stessi a Dio.”
Padre Giorgio, parlando ai giovani che avevano poca ispirazione di servire la Chiesa di Cristo perché avevano accettato l’opinione del mondo (comune anche tra noi nel mondo libero) che la Chiesa è solamente un complesso d’edifici ed un’organizzazione secolare, chiama loro e noi ad una più profonda consapevolezza della Chiesa di Cristo e a come il nostro stato formale di membri in essa non è sufficiente per salvarci.
“La Chiesa di Cristo è viva e libera. In lei noi ci muoviamo ed abbiamo il nostro essere, attraverso Cristo che è il suo capo. In lui abbiamo piena libertà. nella Chiesa impariamo della verità e la verità ci farà liberi. (Giovanni 8,32). Si è nella Chiesa di Cristo ogni volta che si risolleva qualcuno piegato dal dolore, o quando si danno elemosine al povero o si visitano gli ammalati. Si è in Cristo quando si grida: “Signore, aiutami.” Si è nella Chiesa di Cristo quando si è buoni e pazienti, quando si rifiuta di adirarsi con il fratello, persino se ha ferito i nostri sentimenti. Si è nella Chiesa di Cristo quando si prega: “Signore, perdonalo.” Quando si compie onestamente il proprio lavoro, ritornando a casa la sera stanchi ma con un sorriso sulle labbra; quando si ripaga il male con l’amore, si è nella Chiesa di Cristo. Non vedi dunque, giovane amico, quanto sia vicina la Chiesa di Cristo? Tu sei Pietro e Dio sta costruendo la Sua Chiesa su di te. Tu sei la roccia della Sua Chiesa contro la quale niente può prevalere….. Costruiamo chiese con la nostra fede, chiese che nessun potere umano può abbattere, una Chiesa le cui fondamenta sono Cristo…. Abbiate compassione per il vostro fratello accanto a voi. Non chiedetevi mai: “Chi è?” Dite piuttosto: “Non è uno straniero; è mio fratello. E’ la Chiesa di Cristo proprio come lo sono io.”
Con una tale chiamata nel cuore, dobbiamo cominciare ad appartenere realmente alla Chiesa di Cristo, la Chiesa Ortodossa. La partecipazione esteriore non è abbastanza; qualcosa deve muoversi dentro di noi che ci renda differenti dal mondo intorno a noi, persino se quel mondo si chiama “Cristiano” e persino “Ortodosso”. Teniamo ed alimentiamo queste qualità della autentica visione ortodossa del mondo che menzionai prima; un atteggiamento vivo, normale, pieno d’amore e di perdono, non centrato su sé stessi ma che preserva la nostra innocenza ed il nostro distacco dal mondo finanche con una consapevolezza piena ed umile del nostro essere peccatori e della forza delle tentazioni del mondo intorno a noi. Se viviamo veramente questa visione ortodossa del mondo, la nostra fede sopravvivrà agli scompigli davanti a noi e sarà una fonte d’ispirazione e di salvezza per coloro che staranno ancora cercando Cristo nel mezzo del naufragio dell’umanità che oggi è già cominciato.

Tratto da: The Orthodox Word, vol. 18, N°4 (105), Luglio-Agosto 1982, pp. 160-176.