6/04/2012

PENSIERI SULLA PASQUA, L’ASCENSIONE E LA PENTECOSTE Arch. Justin Nenad Popovic

l mistero della discesa del Salvatore nell’Ade ed il mistero della salvezza
Il Signore Gesù Cristo nella sua divino-umana economia della Salvezza ha compreso tutti gli esseri umani non solo della sua epoca, ma anche del passato e del futuro. In tal modo egli è diventato il Salvatore di tutto il genere umano ed ha ottenuto il diritto di chiamarsi con questo nome. Sono vere le parole di sant’Ireneo: “Il Cristo è venuto non solo per quelli che all’epoca di Tiberio crederono in lui, ed il Padre non provvide solo per coloro che vivono adesso, ma per tutti gli uomini insieme, che dall’inizio temevano Dio e lo amavano, si comportavano rettamente e con devozione nei riguardi del loro prossimo e desideravano vedere il Cristo ed ascoltare la sua voce”[1].

La discesa del Salvatore nell’Ade, dove si trovano le anime di quanti vissero e morirono prima della sua venuta in questo mondo, era naturale, necessaria e logica. Ed il Salvatore scese nell’Ade con la sua anima umana, mentre il suo corpo giaceva morto nella tomba[2]. La sua discesa nell’Ade egli accompagnò con la predicazione dello stesso Evangelo che aveva annunciato sulla terra. Poiché lo stesso Evangelo vale per tutti gli esseri umani in entrambi i mondi, sia nel mondo della vita terrena che in quello della morte, nell’Ade. L’apostolo Pietro dice chiaramente che il Salvatore predicò alle anime nell’Ade il suo Evangelo della Salvezza[3].

La discesa del Dio-Uomo nell’Ade significa l’annientamento della morte, la vittoria sull’Inferno e sul demonio ed il dominio su di loro. Lo dimostrano le parole dell’apostolo Giovanni, il quale afferma che il Signore Gesù Cristo ha le chiavi dell’Ade e della morte[4]. L’Ade, in cui è sceso il Signore ed in cui vivevano anche le anime dei giusti, significa il regno della morte, la dimora in cui si provava quell’affanno, debolezza, dolore e tristezza, che s’erano impadroniti della natura umana a causa del peccato. La potenza salvifica del Cristo si estende anche su tutta la vita al di là della tomba. “Allorché il Signore fu crocifisso, il demonio fu legato, la morte fu annientata e le anime che erano imprigionate nell’Ade, si liberarono dalle catene”[5]. Come l’unico potente e forte, il Cristo fece prigioniero l’Ade e sollevò con sé tutti i morti, distruggendo con la forza della croce la paura della condanna[6].

La Resurrezione e la rinascita morale dell’umanità

Che il Signore sia realmente risorto ed in quanto eternamente vivo operi incessantemente è dimostrato da sant’Atanasio il Grande anche per mezzo del suo incessante influsso sulla rinascita morale dell’umanità. Infatti solo una persona vivente, non una morta, può operare ed influire sugli uomini. Poiché il salvatore influisce così sugli uomini e quotidianamente dappertutto ed invisibilmente convince moltissimi ad accostarsi alla fede in lui ed obbedire al suo insegnamento, può qualcuno dubitare che la Resurrezione del Cristo sia un fatto reale e che il Cristo viva, o meglio, che egli solo sia la vita? Forse che è proprio di un morto portare le anime dei vivi a tal punto di commozione che essi si allontanano dalle leggi dei loro padri e si chinano davanti alla dottrina del Cristo? Oppure, se il Cristo non opera sugli uomini, in qual modo allora egli influisce sull’adultero affinché egli non continui nel suo peccato, sull’assassino perché cessi di uccidere, sul bugiardo perché non inganni e perché l’ateo diventi credente?[7] In verità la più convincente prova della Resurrezione del Cristo consiste nel fatto che il Signore morto e risorto ha dimostrato dopo la morte una tale potenza da convincere i viventi a disprezzare la patria, la propria casa, gli amici, i parenti e la morte stessa, per confessarlo e preferire ai vantaggi di questa vita la flagellazione, i pericoli e la morte. Tali opere sono proprie non di un morto né di uno che è rimasto nella tomba, ma di uno che è risorto ed è vivo[8].


La Resurrezione del Cristo e la consapevolezza della Chiesa

Se mai in alcun luogo, certamente nella vita della Chiesa l’uomo irresistibilmente ha la chiara sensazione e la consapevolezza che il Dio-Uomo Gesù Cristo con la sua Resurrezione ha in realtà ucciso il peccato, ha vinto la morte, ha calpestato il demonio, ha abbattuto la potenza della morte, ed ha distrutto l’Ade. Nello stesso tempo egli ha santificato, illuminato, resa immortale la natura umana, ha salvato il mondo, ha dato la vita eterna agli uomini, ha concesso loro il perdono dei peccati, ha riempito di gioia il mondo e ha dato agli uomini tutto ciò che Dio nell’indicibile amore per gli uomini può donare. Perciò per Pasqua celebriamo la morte della morte, la distruzione dell’Ade, l’inizio di una nuova vita[9]. Con la sua Resurrezione il Cristo ci ha condotto dalla morte alla vita, e dalla terra al Cielo[10]. Il nostro Salvatore, risorgendo dalla tomba, ha fatto risorgere con sé tutto il genere umano[11]. Risorgendo il terzo giorno dalla tomba, ha fatto risorgere con sé tutto il mondo[12]. Il Cristo è risorto come spetta a Dio, sollevando con sé i morti come un potente[13] e ciò significa che sollevò con sé tutto il genere umano[14].

A causa dei doni particolari e mai prima visti che il Cristo fece alla natura umana per mezzo della sua Resurrezione, la Pasqua è un giorno di eccezionale importanza tra tutti gli altri e particolarmente la notte pasquale lo è tra tutte le notti. La Pasqua è il giorno creato dal Signore, rallegriamoci e siamo lieti in essa[15]. La notte pasquale è realmente santa e solenne, apportatrice di vita, notte illuminata di un giorno luminoso. La Pasqua è la festa delle feste e la solennità delle solennità. Perciò essa è la più grande festa nella Chiesa ortodossa ed ogni domenica è una piccola Pasqua che si ripete. Perciò celebriamo la domenica come il giorno del Signore.

Il mistero dell’Ascensione ed il mistero della salvezza

Il Salvatore portò a termine la sua vita terrena con l’Ascensione. Tutta l’opera del Dio-Uomo aveva questo fine. È naturale che l’opera della Salvezza del genere umano da parte del Cristo terminasse con l’ascensione al Cielo della natura umana, che il Signore con la sua Incarnazione ha reso per sempre parte integrale della sua persona divino-umana. “Nessuno sale al Cielo – scrive l’evangelista Giovanni – se non colui che da esso è sceso, il Figlio dell’Uomo che è in Cielo”[16].

Nell’Ascensione del Signore s’è manifestato pienamente il pensiero divino e l’indicazione del fine della natura umana. Questo pensiero consiste in ciò: la natura umana è creata con il fine di vivere eternamente nell’unità personale con il Figlio di Dio[17]. Con l’Ascensione in cielo della natura umana il Cristo ha dimostrato che lo scopo della sua venuta sulla terra consisteva nel rendere possibile ed assicurare quest’eterna unione della natura umana con Dio, la quale per tale ragione fu creata simile a Dio. Al cielo ascese quello stesso Gesù risorto che nel modo più convincente ha dimostrato la realtà della sua resurrezione. Reso glorioso dalla vittoria sulla morte, quel corpo ascese al Cielo perché, in quanto corpo del Dio-Logos, vivesse eternamente nella gloria della Trinità divina, “alla destra di Dio”[18].

“Dicendo che il Cristo siede in maniera corporea alla destra di Dio Padre – scrive san Giovanni Damasceno – non intendiamo la parte destra in senso spaziale. Infatti come l’Infinito può avere la destra in un luogo definito? Ma noi, quando parliamo della destra del Padre, intendiamo la gloria e l’onore della divinità in cui il Figlio di Dio, in quanto egli stesso Dio e consustanziale con il Padre, risiede anche in maniera corporea”[19]. Come ogni altra opera del Cristo Dio-Uomo anche la sua Ascensione, pur essendo e rimanendo opera personale del Dio-Uomo, tuttavia ha un significato che riguarda tutta l’umanità e tutto il cosmo. Poiché l’Ascensione del Signore è, in principio, l’ascensione di tutta la natura umana. Dal Cristo è stata indicata anticipatamente la via verso l’ascensione ed in tal modo è stata assicurata la vita con Dio, vicino a Dio ed in Dio.

Sul Santo Spirito

Con la sua vita divino-umana e con la sua opera sulla terra il Signore ha compiuto la salvezza del genere umano dal peccato, dalla morte e dal demonio. Ma, affinché l’uomo divenga partecipe della salvezza, deve unirsi con il Salvatore stesso. Ciò avviene per opera del Santo Spirito. Perciò il Salvatore, dieci giorni dopo la sua Ascensione, ha mandato dal Padre suo nel mondo il Santo Spirito[20], che unisce gli uomini con il Cristo, nel suo Corpo, la Chiesa. Questa unione spirituale dell’uomo con il Salvatore richiede che l’uomo combatta contro tutto ciò che lo allontana dal Cristo. L’uomo è allontanato dal Salvatore, che è libero da ogni colpa, dal peccato, a causa della morte e del diavolo. Perciò per avvicinarsi al Cristo ed unirsi a lui, l’uomo deve vincere in sé tutto ciò che è peccaminoso, apportatore di morte e diabolico. Ma questa vittoria l’uomo non può conquistare con le sue sole forze e senza l’aiuto di Dio. L’aiuto di Dio, che all’uomo dà il Santo Spirito, è la Grazia.

L’uomo che con tutto il suo cuore crede nel Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore, riceve la Grazia del Santo Spirito, che lo rende capace di superare ogni peccato, la morte ed il diavolo. Quest’opera del Santo Spirito per la Salvezza dell’uomo e del mondo fu preannunciata e promessa ai suoi discepoli nell’Ultima Cena. Egli allora disse che il Santo Spirito avrebbe insegnato ai suoi discepoli tutto ciò che apporta la salvezza[21], che sarebbe stato presente in tutti loro, li avrebbe salvati[22] e che avrebbe testimoniato che il Signore Gesù è l’unico Salvatore del genere umano[23]. Inoltre, prima della sua Ascensione, il Salvatore mise in rilievo ai suoi discepoli che non si sarebbero salvati finché non fossero stati riempiti dall’alto, per opera di Dio, del Santo Spirito[24]. Il Salvatore mantenne la sua promessa, che avrebbe mandato ai suoi discepoli il Santo Spirito. Nel giorno della Pentecoste egli mandò ai suoi discepoli, alla Chiesa, il Santo Spirito[25]. E da quel giorno il Santo Spirito è sempre presente nella Chiesa e con la sua potenza datrice di Grazia santifica e salva tutti i veri membri della Chiesa. Infatti, secondo le parole di sant’Ireneo, dove è la Chiesa, lì è anche il Santo Spirito ed ogni grazia[26]. L’Apostolo Paolo afferma: “Dio versò su noi abbondantemente, attraverso Gesù Cristo, il Santo Spirito, affinché con la sua Grazia diventassimo eredi della vita eterna”[27].

Con la Grazia del Santo Spirito, che è sempre presente nella Chiesa come sua anima, la Chiesa santifica e salva ogni credente. Lo santifica e lo salva per mezzo di tutto ciò che le è proprio: per mezzo di ogni preghiera, rito, cerimonia sacra e particolarmente con i Sacramenti. Siccome la santificazione spetta in primo luogo al Santo Spirito, esso si chiama Consolatore, Santificatore ed Illuminatore. Va da sé che nella santificazione dell’uomo partecipano anche Dio Padre e Dio Figlio, poiché tutto nella Chiesa avviene dal Padre attraverso il Figlio nel Santo Spirito. Sant’Atanasio scrive a questo proposito: “La Grazia concessa dalla Santa Trinità, si dà dal Padre attraverso il Figlio nel Santo Spirito”[28]. Perciò così spesso s’invoca nella Chiesa ortodossa il Santo Spirito, particolarmente nella Liturgia (epiclesis), nell’ordinazione dei Sacerdoti ed in tutti gli altri Sacramenti della Chiesa.





Da “Tajne Vere i Zivota”, Krnjevo 1977; trad. A. S.

In “Messaggero Ortodosso”, Roma, 1986, giugno-luglio n. 6-7, p. 1-8.




[1] Contra hareses IV, 22, 2.

[2] 1 Pietro 3, 18-20.

[3] 1 Pietro 3, 19; 4, 6.

[4] Apocalisse 1, 18; cfr. Efesini 4, 8.

[5] Mercoledì al Mattutino, kathisma (tono 7 dell’Octoico).

[6] Martedì della II settimana dopo Pasqua, kathisma al Mattutino.

[7] De incarnatione Verbi 30, 21; P. G. t. 25, col 148 BCD ; 149 ABCD.

[8] G. Crisostomo, In s. Ignatium martyrem laudatio 4, P. G. t. 50 col. 339.

[9] Pasqua, al Mattutino, Canone ode 7.

[10] Ibid. ode 1.

[11] Ibid. ode 6.

[12] Domenica d’Antipasqua, Sabato ai piccoli vespri.

[13] III Domenica dopo Pasqua al Mattutino, Canone ode 7.

[14] Ibid. ode 6.

[15] Pasqua, al Mattutino.

[16] Giovanni 3, 13; cfr. Efesini 4, 10.

[17] Cfr. Efesini 2, 6; Colossesi 3, 1-3.

[18] Ebrei 9, 24; 4, 14; Efesini 4, 10; Marco 16, 19; Atti 7, 75.

[19] De fide orthodoxa, IV, 2; P. G. t. 94, col. 1104 BC.

[20] Atti 2, 1-33.

[21] Giovanni 14, 26.

[22] Ibid. 14, 17.

[23] Ibid. 15, 28.

[24] Luca 24, 49.

[25] Atti 2, 1-33.

[26] Contra haereses III, 24, 1.

[27] Tito 3, 5-7.

[28] Ad Serapionem I, 9.12.20.25.

La Festa di Pentecoste - del rev. padre A. Schmemann

Nell’annuale ciclo liturgico della Chiesa, la Pentecoste è “l’ultimo e grande giorno”. È la celebrazione da parte della Chiesa della venuta del Santo Spirito come la fine – la realizzazione e il compimento – di tutta la storia della salvezza. Per lo stesso motivo, tuttavia, è anche la Celebrazione dell’inizio: è il “compleanno” della Chiesa come presenza in mezzo a noi del Santo Spirito, della vita nuova in Cristo, della grazia, delle conoscenze, dell’adozione di Dio e della santità.

Questo duplice significato e la duplice gioia ci viene rivelato, prima di tutto, nel nome della festa. Pentecoste in greco significa cinquanta, e nel sacro simbolismo biblico del numero, il numero cinquanta simboleggia sia la pienezza del tempo che ciò che è al di là del tempo: il Regno di Dio stesso. Essa simboleggia la pienezza del tempo dalla sua prima componente: 49, che è la pienezza del sette (7 x 7): il numero del tempo. E, simboleggia ciò che è al di là del tempo con la seconda componente: 49 + 1, questo è il nuovo giorno, il “giorno senza tramonto” del Regno eterno di Dio. Con la discesa del Santo Spirito sopra i discepoli di Cristo, il tempo della salvezza, la divina opera di redenzione è stata completata, la pienezza è stata rivelata, tutti i doni concessi: sta a noi ora “appropriarci” di questi doni, essere ciò che siamo diventati in Cristo: partecipi e cittadini del suo Regno.





LA VEGLIA DI PENTECOSTE



Il servizio della vigilia notturna, comincia con un solenne invito:



“Dobbiamo celebrare la Pentecoste, la venuta del Santo Spirito,

il giorno stabilito della promessa, e il compimento della speranza,

il mistero che è tanto grande quanto è prezioso”.



Nella venuta dello Spirito, la vera essenza della Chiesa è rivelata:



“Il Santo Spirito offre tutto,

inonda con la profezia, adempie il sacerdozio,

ha insegnato la sapienza agli illetterati,

ha rivelato i pescatori come teologi,

Egli riunisce tutto il concilio della Chiesa”.



Nelle tre letture del Vecchio Testamento (Numeri 11:16-17, 24-29; Gioele 2:23-32; Ezechiele 36:24-28) ascoltiamo le profezie concernenti il Santo Spirito. Apprendiamo che l’intera storia dell’uomo era orientata verso il giorno in cui Dio “avrebbe riversato il Suo Spirito su ogni carne”. Questo giorno è arrivato! Tutte le speranze, tutte le promesse, tutte le attese sono state compiute. Alla fine degli inni Aposticha, per la prima volta dopo la Pasqua, si canta l’inno: “Re celeste, Consolatore, Spirito di verità...”, quello con cui apriamo tutti i nostri servizi, tutte le preghiere, che è, come dire, il soffio vitale della Chiesa, e la cui venuta a noi, la cui “discesa” su di noi in questa Veglia di festa, è stata infatti la stessa esperienza del Santo Spirito “veniente e dimorante in noi”.

Dopo aver raggiunto il suo culmine, la Veglia continua come un’esplosione di gioia e di luce perché “veramente la luce del Consolatore è arrivata e ha illuminato il mondo”. Nella lettura dell’Evangelo (Giovanni 20:19-23) la festa viene interpretata da noi come la festa della Chiesa, della divina sua natura, potere ed autorità. Il Signore manda i suoi discepoli nel mondo, come Egli stesso è stato inviato dal Padre. Più tardi, nelle antifone della liturgia, annunciamo l’universalità della predicazione degli Apostoli, il significato cosmico della festa, la santificazione di tutto il mondo, la vera manifestazione del Regno di Dio.





I VESPRI DI PENTECOSTE



La peculiarità liturgica molto speciale della Pentecoste sono i Vespri del giorno stesso. Normalmente questo servizio segue immediatamente la Divina Liturgia, è “aggiunto” ad esso, come il proprio compimento. Il servizio inizia come un solenne “riepilogo” di tutta la celebrazione, in quanto sua sintesi liturgica. I fiori che teniamo tra le nostre mani simboleggiano la gioia di eterna primavera, inaugurata dalla venuta del Santo Spirito. Dopo la festa d’Ingresso, questa gioia raggiunge il suo culmine nel canto del Grande Prokeimenon:



“Quale Dio è grande come il nostro Dio?”



Poi, dopo aver raggiunto questo culmine, siamo invitati a inginocchiarci. Questo è il nostro primo inginocchiarci da Pasqua. Esso significa che, dopo questi cinquanta giorni di gioia pasquale e di pienezza, di vivere il Regno di Dio, Ora la Chiesa sta per iniziare il suo pellegrinaggio attraverso il tempo e la storia. È sera, ancora una volta, e la notte si appressa, durante la quale tentazioni e fallimenti ci attendono, quando, più di ogni altra cosa, abbiamo bisogno dell’aiuto divino, la presenza e la potenza del Santo Spirito, che già ci ha rivelato il lieto fine, ora ci aiuterà nel nostro sforzo verso il compimento e la salvezza.

Tutto questo è rivelato nelle tre preghiere che il celebrante recita ora inginocchiato come noi tutti ad ascoltarlo. Nella prima preghiera, portiamo a Dio il nostro pentimento, il nostro crescente appello per il perdono dei peccati, la prima condizione per entrare nel Regno di Dio.

Nella seconda preghiera, chiediamo al Santo Spirito di aiutarci, di insegnarci a pregare ed a seguire il vero cammino nel buio e nella difficile notte della nostra esistenza terrena. Infine, nella terza preghiera, ricordiamo tutti coloro che hanno compiuto il loro cammino terreno, ma che sono uniti con noi nell’eterno Dio di Amore.

La gioia della Pasqua è stata completata e si deve attendere ancora per l’alba del giorno eterno. Ma, conoscendo la nostra debolezza, umiliando noi stessi inginocchiandoci, conosciamo anche la gioia e la potenza del Santo Spirito che è venuto. Sappiamo che Dio è con noi, che in Lui è la nostra vittoria.

In tal modo è completata la festa della Pentecoste e si entra nel “tempo ordinario” dell’anno. Eppure, ogni Domenica ora sarà chiamata “dopo Pentecoste” – e questo significa che è dalla forza e dalla luce di questi cinquanta giorni che dobbiamo ricevere la nostra forza, il divino aiuto nella nostra lotta quotidiana. A Pentecoste si decorano le nostre chiese con fiori e rami verdi – perché la Chiesa “non invecchia mai di età, ma è sempre giovane”. È un albero sempreverde, sempre vivo di grazia e di vita, di gioia e di conforto. Perché il Santo Spirito – “Tesoro di Bene e datore di vita” – viene e rimane in noi, e ci purifica da tutte le impurità, e riempie di senso la nostra vita, l’amore, la fede e la speranza.



padre Alexander Schmemann (1974)