CRISTO E LA SUA CHIESA
di p. Georges V. Florovsky (1893-1979)
1. È stato suggerito da uno scrittore contemporaneo, che la dottrina della Chiesa è ancora nella sua “fase pre-teologica”[1]. L’affermazione forse è un po’ esagerata. Ciò che è ovviamente vero, tuttavia, è che non c’è una base comune accettata nel trattare e presentare la dottrina ecclesiologica. Ciò dipende, per gran parte, dalla mancanza di una tradizione patristica stabilita. Anni fa, parlando di Origene, Mons. P. Batiffol fece la seguente affermazione: “La Chiesa non è fra i soggetti discussi ex professo nel Perì Argù. Egli discute l’unità divina, le ultime cose, persino la Tradizione e la Legge della Fede, ma non discute la Chiesa. Strana omissione destinata a perpetuarsi nella Dogmatica Greca, p. es. nelle Orazioni Catechetiche di S. Gregorio Nisseno e specialmente nell’opera di S. Giovanni Damasceno – omissione destinata a ripetersi nel sistema scolastico”[2].
Ovviamente non è una “omissione” e neppure una noncuranza teologica. I Padri della Chiesa, sia in Oriente che in Occidente, come pure i posteriori e sistematici scrittori del Medio Evo, avevano molto da dire sulla Chiesa e infatti lo dissero. Ma mai tentarono di sistematizzare le loro intuizioni. Le loro osservazioni e commenti erano sparsi nei loro scritti, principalmente esegetici e liturgici, nella loro predicazione probabilmente più che nei saggi dottrinali. In ogni caso, loro ebbero una visione molto chiara di quello che la Chiesa era veramente, benché questa visione mai fosse ridotta ad una “concezione”, o definizione. Fu solo nei tempi relativamente “moderni”, nell’“autunno del Medio Evo” e specialmente nell’ora turbolenta della Riforma e Contro-Riforma, che si tentò somme e definizioni, più in spirito di controversia confessionale e con scopi polemici, che come meditazione teologica spassionata. La necessità di una revisione fu fortemente sentita dai teologi del secolo scorso, e la dottrina della Chiesa è uno dei “topici” più favoriti dell’inquisizione teologica del nostro tempo. Una certa divergenza si può facilmente scoprire perfino nelle discussioni contemporanee sulla Chiesa. Si può difficilmente identificare queste divergenze come “ecumeniche”. D’altra parte, le recenti ricerche ecclesiologiche sono state fortemente influenzate dal nuovo corso degli studi biblici. C’è, nelle ricerche contemporanee, come una forte (e nell’insieme sana) tendenza a costruire, la dottrina della Chiesa nella prospettiva vasta e inclusiva della Rivelazione Biblica, contro il retroterra della “preparazione” vetero-testamentaria.
Sfortunatamente non abbiamo uno studio comprensivo sulla storia della dottrina e la visione della Chiesa nei tempi patristici e posteriori, benché ci sia un impressionante numero di studi occasionali e monografici. Non c’è tuttavia una rassegna generale che ci renda possibile di discernere le linee e i temi generali in questo “sviluppo” secolare. L’unica eccezione è forse la grande opera dello scomparso P. Emile Mersch “Le Corps Mystique”[3], a cui si dovrebbero aggiungere i suoi scritti posteriori e in parte non finiti. Quest’opera monumentale rivela le ricchezze immense del “materiale ecclesiologico” sparso nei Documenti Patristici (e posteriori) e bene puntualizza le tendenze prevalenti in tutto il processo storico. Ma, non solo questo esame è incompleto perché l’autore confinò se stesso su un tema o aspetto particolaredel concetto ecclesiologico, ma l’analisi è piuttosto frettolosa. In ogni caso il libro di Mersch non è più che un punto di inizio per un teologo che vuole tentare una presentazione sistematica della dottrina. Cattolica della Chiesa, nella luce e nello spirito della continua tradizione della fede e contemplazione cattolica. Probabilmente, il primo problema in cui il teologo contemporaneo della Chiesa deve combattere è il problema della prospettiva. Dove è il posto giusto per il Trattato sulla Chiesa nella fabbrica totale di un sistema bilanciato e ortodosso di teologia? Come dato di fatto, la tendenza prevalente è stata, e in gran parte lo è ancora, di delineare il “capitolo” ecclesiastico di Dogmatica come più o meno “indipendente” e come se fosse un trattato autospiegantesi. Certo, la sua relazione agli altri capitoli non è stata mai del tutto trascurata, e certi suggerimenti valevoli, di carattere piuttosto occasionale e accidentale, sono stati accumulati. Ma nell’insieme, la dottrina della Chiesa non sembra adeguatamente incorporata nella struttura integrale della Teologia “Cattolica”, e, benché ci sia un desiderio crescente per tale integrazione, non c’è chiarezza, e non c’è accordo sulle vie e maniere con cui tale integrazione può essere raggiunta. Anzi, c’è un ovvio disaccordo precisamente proprio su questo punto.
2. Il carattere corporativo della Cristianità è stato fortemente orientato nello studio teologico e nella discussione delle decadi recenti, come è stato anche riscoperto nell’esperienza devozionale e liturgica delle comunità cristiane; Cristianità è appunto la Chiesa nella pienezza della sua vita e “esistenza”. Si può perfino domandare se una esposizione sistematica della fede debba iniziare almeno con un “saggio” preliminare sulla Chiesa, perché è nella Chiesa che il deposito della fede è stato conservato fino ad ora attraverso i secoli della sua esperienza storica, ed è per l’autorità della Chiesa che tutte le dottrine e le credenze cristiane sono state tramandate e raccomandate (e lo sono ancora) di generazione in generazione, e ancora sono ricevute precisamente in obbedienza alla Chiesa e in lealtà alla sua Tradizione continua ed identica. I teologi protestanti usualmente pongono all’inizio dei loro sistemi un trattato sulla Parola di Dio, cioè sulla Scrittura, e a loro sembra un punto di partenza molto logico. I “cattolici”, qualche volta, seguono lo stesso schema, solo, si capisce, aggiungeranno “Tradizione” a “Scrittura”. In realtà non è niente altro se non un “Trattato sulla Chiesa”, un argomento offerto come un “Prolegomeno” indispensabile al sistema teologico in senso proprio. Da un punto di vista didattico, è probabilmente l’unica procedura ragionevole. Non si possono evitare alcuni riferimenti alle “origini”, o “autorità” all’inizio di un sistema. C’è tuttavia un doppio inconveniente connesso a tale procedura. Da una parte, si può dire così tanto nel prolegomeno sulla Chiesa, che poco si lascia per il Sistema stesso. Non è sintomatico che in molti “Compendi teologici” non c’è veramente posto per la dottrina della Chiesa? È sufficiente citare un esempio: non c’è trattato sulla Chiesa nel voluminoso e giustamente rinomato manuale di Dogmatica di Mons. J. Pohle. Certo, c’è probabilmente posto per l’Ecclesiologia in alcune altre sezioni del curriculum teologico totale, però è proprio curioso che si possa sviluppare un sistema di teologia cristiana, senza dire niente sulla Chiesa. In realtà, non c’è neppure un prolegomeno nel manuale di Mons. Pohle, che apre semplicemente col trattato generale su Dio. D’altra parte si può dire molto poco sulla Chiesa nel prolegomeno, almeno in maniera convincente, perché questo si può fare in una prospettiva più ampia, semplicemente perché la Chiesa è il Corpo di Cristo, e perciò è impossibile parlare della Chiesa, perché è stato detto abbastanza da Cristo stesso. C’è di più qui che semplicemente una difficoltà inevitabile inerente a tutte le “introduzioni”. Tutti i prologhi sono usualmente piuttosto epiloghi, e sono scritti spesso all’ultimo momento, dopo che il grande corpo degli studi è stato fatto. Il problema non è solo quello dell’ordine o sequenza dei “capitoli” o “trattati” dottrinali. Perché la Chiesa non è proprio una dottrina, ma è piuttosto il presupposto esistenziale di ogni insegnamento e predicazione. La teologia è praticata e coltivata nella Chiesa. Lo studio e l’interpretazione teologica sono la funzione della Chiesa, anche quando questa funzione è esercitata da individui, ma tuttavia sempre nelle loro capacità di membri della Chiesa. Sembra che ciò fosse la ragione principale per la “reticenza” dei Padri e di altri riguardo l’Ecclesiologia. In ogni caso, la difficoltà inerente, o perfino l’ambiguità, si devono francamente riconoscere sin dall’inizio. Si può anticipare, proprio dal principio, che di fatto la dottrina della Chiesa non può proprio essere presentata come un “soggetto indipendente”.
3. Se ci rivolgiamo alla letteratura teologica moderna sulla Chiesa, cominciando almeno col risveglio teologico del periodo romantico, si possono facilmente discernere due differenti avvicinamenti o due differenti maniere nell’esporre la dottrina della Chiesa. C’è certamente qualche autorizzazione, nella Scrittura e nella Tradizione, per ambedue. Si può subito domandarsi se queste due maniere o avvicinamenti possono in qualche maniera essere integrati in un tutto inclusivo, sintetico. Si dovrebbe veramente farlo, e mio desiderio e speranza sono che ciò avvenga. Ma ancora non si vede così chiaro come si possa o debba farlo. Da una parte è quasi tradizionale sviluppare l’intera dottrina della Chiesa al di fuori della dottrina Cristologica e prendere per guida la famosa frase Paolina: il Corpo di Cristo. Nella conclusione finale “Cristologia” ed “Ecclesiologia” saranno organicamente correlate nella dottrina inclusiva del “Cristo tutto” – “totus Christus caput et corpus”, nella gloriosa frase di S. Agostino. Si può ammettere che questa fosse l’attitudine prevalente dei Padri, sia in Oriente che in Occidente, non solo nel tempo della loro unione, ma anche molto dopo la separazione. In oriente questo avvicinarsi teologico-cristologico o attitudine è bene illustrato da scrittori tardivi come Nicolas Cabasilas, soprattutto nel suo trattato ammirabile della “Vita in Cristo”. Questo è ovviamente connesso con l’interpretazione teologica dei Sacramenti e della centralità del mistero Eucaristico e del sacrificio nella sua concezione generale. Non si deve tuttavia dimenticare che questa forte enfasi cristologica è stata seriamente oscurata e diminuita nei tempi moderni. Le dottrine Cristologiche degli Antichi Padri, sono state in pratica quasi completamente ignorate. La concezione classica del “Corpo di Cristo” è stata riscoperta nella tradizione cattolica stessa. O, in ogni caso, le dottrine Cristologiche sono state poco usate nella discussione Ecclesiologica. La Chiesa è stata considerata, nella teologia post-riformistica, molto più come “un corpo di fedeli” – “coltus fidelium”, che il “Corpus Christi”. Quando l’avvicinamento al mistero della Chiesa è praticato a un livello sufficientemente profondo, porta i teologi ad una concezione Pneumatologica della Chiesa. Può essere vero che, come si reclama spesso, che la dottrina dello Spirito Santo è stata come sottosviluppata nella tradizione cristiana, e non è mai stata adeguatamente formulata, a dispetto, o forse perché, della discussione intensa sulla clausola del “Filioque”. Eppure c’è ancora una forte tendenza ad enfatizzare l’aspetto Pneumatologico della dottrina della Chiesa. Probabilmente l’aspetto più cospicuo di questa super-enfasi fu il gran libro di J. A. Moehler “Die Einheit in der Kirche”, benché l’equilibrio fosse ritrovato in scritti posteriori, e già nel suo “Symbolik”. Nella teologia russa questa super-enfasi è stata tipica di Chomiakof e specialmente dei suoi successori. La dottrina della Chiesa è in pericolo di diventare una “Sociologia Carismatica”. Certo, ciò non significa che Cristo è “lasciato” e che non ci sia posto per qualche sociologia nella dottrina della Chiesa. Ma la vera discussione è sul modello della costruzione ecclesiologica. Si può porre la domanda sotto questa forma: “Dobbiamo proprio cominciare col fatto (phenomenon) della Chiesa come comunità o kinonia, e allora investigarne la sua struttura oppure dobbiamo cominciare con Cristo, il Dio incarnato, e investigare le implicazioni del dogma totale dell’Incarnazione, incluso la gloria del Signore Risorto e Asceso, che siede alla destra del Padre? Quale deve essere il punto di inizio della nostra costruzione ecclesiologica è molto lontano da essere irrilevante. Il punto di inizio determina il modello. Ovviamente non c’è un’ultima contraddizione tra le due formule di S. Paolo “in Cristo” e “nello Spirito”. Ma è di grande importanza a quale dei due si da precedenza, o preferenza. La nostra “unità nello Spirito” è precisamente la nostra “incorporazione” in Cristo, che è l’ultima realtà dell’esistenza cristiana. Può accadere, come è veramente accaduto più di una volta, che il punto di inizio sfortunatamente scelto possa causare una distorsione molto seria della prospettiva teologica totale e precluda il normale sviluppo dell’investigazione. È inutile suggerire che questo è proprio accaduto in molti casi, quando la dottrina della Chiesa è stata trattata senza una relazione organica all’Incarnazione e al Sacrificio Redentivo del Signore della Chiesa. La Chiesa è stata spesso rappresentata piuttosto come una comunità di quelli che credono e Lo seguono, che non come il Suo Corpo, in cui Egli continuamente agisce ed opera “per lo Spirito”, per ricapitolare in lui tutte le cose. Il risultato è stato un’impossibilità ad assicurare un normale sviluppo della dottrina Cristologica stessa e molte delle ricchezze della tradizione patristica Cristologica sono state proprio perse nella teologia moderna occidentale ed orientale.
4. La preferenza data all’immagine Paolina di “Corpo di Cristo” nella teologia della Chiesa può essere contestata dal punto di vista Biblico. Prima la Chiesa deve essere considerata come il “Nuovo Israele”, e per questa ragione si può suggerire che la vera chiave è piuttosto la nozione di “Popolo di Dio”. Sembra inoltre, in S. Paolo stesso, che la Chiesa sia il “Corpo glorioso di Cristo risorto”, e perciò la nozione di Corpo Mistico non si debba tracciare anteriormente all’Incarnazione, fin quando si rimane nei limiti di S. Paolo stesso. Ambedue gli argomenti sono lontani dall’essere convincenti o decisivi. È perfettamente vero che la Chiesa di Dio nel Nuovo Patto e ricreazione della Chiesa dell’Antico include l’augusto mistero dell’Incarnazione. La continua esistenza della Chiesa attraverso tutta la “Heilgeschichte” Biblica, deve essere concepita e interpretata in tale maniera da includere l’unica novità di Cristo, il Signore incarnato. E la nozione di “Popolo di Dio” è ovviamente inadeguata a questo scopo. Non provvede neppure un legame sufficiente col mistero della Croce e la Risurrezione. Finalmente, la dottrina della Chiesa deve essere così costruita fino a mostrare sufficientemente il carattere sacramentale della nuova esistenza. L’Ecclesiologia di S. Paolo ammette un numero di interpretazioni e si può discutere che la concezione di “Corpo di Cristo” abbia un posto più importante nella sua visione della Chiesa di quanto sia ammesso da certi studiosi moderni. Ancora, la differenza tra lo stato di Incarnazione e lo stato di Gloria non si deve esagerare. Il Cristo asceso è ovviamente ancora “il Nuovo Adamo”. Il tentativo di sostituire la similitudine del Corpo con quella di Famiglia e basare questa interpretazione col concetto di “adozione” è del tutto poco convincente. Gli uomini sono adottati dal Padre precisamente in Cristo, e il sacramento dell’adozione è esattamente il sacramento della morte in Cristo e co-Resurrezione con Lui e in Lui, è il “sacramento dell’incorporazione in Cristo. In ogni caso, la dottrina Cattolica della Chiesa non si può costruire meramente sul testo delle Scritture, che da se stesse possono essere pienamente asserite solo nel contesto della Tradizione viva. La enfasi patristica sulla similitudine del Corpo non si può facilmente liquidare dai teologi sistematici. Il decisivo argomento, tuttavia, sarà della visione integrale della Persona e dell’Opera di Cristo.
5. La presupposizione principale dell’esistenza della Chiesa Cristiana è l’unità nuova e intima fra Dio o l’uomo, stabilita nell’Incarnazione. Precisamente proprio Cristo è Dio-uomo, e, secondo la formula di Calcedonia, è insieme “perfetto nella sua Divinità e nella sua Umanità”, che la Chiesa di Cristo è possibile ed è reale del tutto. E nel mistero redentore della Croce osserviamo un movimento verso gli uomini di Dio, dell’Amore divino. L’identificazione di Cristo coll’uomo e coll’umanità fu consumata nella sua morte, che è stata da se stessa la vittoria sui poteri di distruzione, e questa morte fu completamente rivelata nella gloria della Resurrezione e consumata nella Seduta celeste. È un atto unico ed indivisibile di Dio. La Chiesa è costituita dai sacramenti, ciascuno dei quali implica una partecipazione intima alla Morte e Resurrezione di Cristo e una comunione personale con Lui. La Chiesa è il frutto dell’opera redentrice di Cristo, e come lo è stato, la sua Sommità. La Chiesa è, come lo è stato, lo scopo ed il fine del suo “discendere”, per noi uomini e per la nostra salvezza. Solo in questa prospettiva la natura della Chiesa può essere propriamente e completamente capita. Il punto cruciale dell’interpretazione è quello del carattere dell’umana natura di Cristo, propria ed insieme “universale”.
Questo è il presupposto esistenziale sulla base della Chiesa. Solo nel sistema completo di Cristologia può questa relazione basilare tra il Signore incarnato e redentore e l’uomo redento essere adeguatamente e convincentemente spiegata. Nel contesto presente non è possibile far più che dare spinte e suggerimenti ad uno studio ulteriore. È vero che il concetto di Incarnazione, preso da se stesso e non spiegato sufficientemente sin ad includere la vita e l’opera del Cristo sino al culmine sulla croce e nella gloria della Resurrezione, non provvede una base sufficiente o basi per una Ecclesiologia. Né sarebbe sufficiente analizzare il mistero dell’Incarnazione esclusivamente nei termini di “natura”. Infatti, l’Incarnazione stessa fu un’apertura all’Amore Divino e alla sua presenza e operazione redentiva nel “mondo”, o meglio nel mezzo dell’“esistenza” umana. Questa presenza o operazione continua ancora nella Chiesa. La Chiesa è precisamente la presenza continua del Redentore nel mondo. Il Redentore asceso è non-rimosso o separato dal mondo. La forza ed il potere della Chiesa militante sono radicati precisamente in quella “presenza” misteriosa che fa della Chiesa, il Corpo di Cristo e di Cristo il suo Capo. Il problema cruciale ed ultimo dell’Ecclesiologia è precisamente quello di descrivere, spiegare il modo ed il carattere di questa presenza. La “Lettera agli Ebrei”, insieme a quella agli Efesini, sembrano essere il punto di inizio scritturistico più appropriato per l’Ecclesiologia. In nessun senso ciò escluderebbe un’enfasi forte sull’operazione dello Spirito Santo. Si dovrebbe solo tenere in mente che la Chiesa è la Chiesa di Cristo, e Lui è il suo Capo e Signore. Lo Spirito è lo spirito del Figlio: “Non parlerà per sua autorità... perché Lui riceverà ciò che è mio e lo dichiarerà suo”[4]. In ogni caso “l’economia dello Spirito” non si deve costruire fino a limitare e ridurre “l’economia del Figlio”. Il problema è stato recentemente stabilito in maniera chiara e ammirabile da Vladimir Lossky nel suo stimolante libretto: “Essai sur la Théologie mystique de l’Eglise d’Orient”. Ma la sua soluzione è difficilmente accettabile. È difficilmente possibile distinguere così nettamente tra “l’unità di natura” e la “molteplicità delle ipostasi umane” come Lossky sembra suggerire. “La natura umana” non esiste al di fuori delle “ipostasi umane”, e ovviamente Lossky stesso è completamente conscio di ciò, per il fatto che insiste che l’uomo è precisamente “come una persona (umana)”, “un essere che contiene il tutto in se stesso”, cioè più che l’essere giusto un “membro” del Corpo di Cristo. L’implicazione sembra essere che solo nello Spirito Santo e non in Cristo la persona umana è completamente ed ontologicamente (ri)stabilita. È perfettamente vero che la Chiesa è il luogo in cui la comunione delle persone umane con Dio è realizzata. Ma è molto dubbioso che sia corretto fare una così netta distinzione tra la “natura” della Chiesa e la “molteplicità” delle “persone” o “ipostasi” costituenti. La concezione di V. Lossky non ha abbastanza spazio per la relazione personale degli individui con Cristo. Certamente questa comunicazione personale con Cristo è enfaticamente il dono dello Spirito Santo ma è deviazione suggerire che “nella Chiesa, per mezzo dei sacramenti, la nostra natura entra in unione con la divina natura nell’Ipostasi del Figlio, Capo del Corpo mistico”, e quindi aggiungere come qualcosa di differente che “ciascuna persona della natura (umana) deve divenire come Cristo” e questo è compiuto “nella grazia dello Spirito Santo”. Il motivo soggiacente questa netta distinzione è ovvio e merita attenzione. Lossky è ansioso di evitare il pericolo che questa super-enfasi sulla “universalità” della guarigione della “natura” umana possa escludere la partecipazione libera nell’organismo teandrico della Chiesa. Il suo modello è molto chiaro: la Chiesa, una in Cristo e molteplice nello Spirito: una natura umana nell’ipostasi di Cristo, molte “hypostaseos” umane nella grazia dello Spirito. Si può domandare: non è la molteplicità delle “ipostasi umane” completamente stabilita dalla “comunione” personale di molti con il Cristo uno? Non è la relazione con Cristo, stabilita e nutrita “dai sacramenti”, precisamente un incontro personale – e non è effettuata dallo Spirito? E d’altra parte, non sono tutti gli incontri dei cristiani con Cristo possibili solo “nella comunità dello Spirito Santo” e “dalla, grazia del nostro Signor Gesù Cristo?”. È disorientante tracciare l’aspetto organico della Chiesa, “un accent de nécessité” a Cristo, o riservare all’aspetto di personale, “un accent de liberté” allo Spirito Santo. È disorientante anche parlare di “struttura Cristologica” della Chiesa e riservare il dinamismo totale della vita della Chiesa allo Spirito Santo. È precisamente ciò che V. Lossky ci porta a suggerire. La Chiesa come Corpo di Cristo, nella sua interpretazione, sembra essere proprio una struttura “statica” ed è solo nel suo “aspetto pneumatico” che la Chiesa ha un carattere dinamico. Questo, in pratica, implicherebbe che Cristo non è presente dinamicamente nella Chiesa, un’assunzione che può portare a gravi errori nella dottrina dei sacramenti. Quasi tutto ciò che Lossky dice è accettabile, ma lo dice in tale maniera che il fondamento basilare dell’Ecclesiologia è in pericolo di distorsione. Ci sono delle inadeguatezze precisamente nelle sue presupposizioni Cristologiche. I capitoli di V. Lossky sulla Chiesa, nel suo libro d’altra parte ammirevole, richiedono seria attenzione perché espongono chiaramente i pericoli inerenti ad ogni tentativo di ridurre il modello cristologico della dottrina ecclesiologica. Non è stato il primo tra i teologi russi a fare un tale tentativo, benché lo faccia in maniera sua. E altri tentativi saranno fatti in seguito. Si deve perciò stabilire che non si può costruire una Ecclesiologia coerente, se non si ammette senza riserve la centralità di Cristo, il Signore Incarnato e Re della gloria.
6. Queste poche pagine di commenti e suggerimenti non devono essere prese per uno “schema” di “Ecclesiologia Cattolica”. Lo scopo dello scrittore è stato quello di partecipare semplicemente, ad un eventuale lettore, alcune osservazioni sparse, fatte nel processo dello studio in campo patristico, e alla ricerca di quello che lui stesso è solito chiamare una “sintesi neo-patristica”. Probabilmente ciò che bisognava fare per primo era piuttosto una buona storia dell’insegnamento patristico sulla Chiesa, preso in senso del tutto comprensivo. E solo dopo sarà possibile procedere con sicurezza alla formulazione della dottrina.
traduz. di P. Mark Davitti
Da “L’Église et les Églises”, voll. II, pp. l6l-170, Chevetogne – Belgique, 1954.
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