Il Natale con la Teofania del Signore e la sua Pasqua di Risurrezione sono i due poli attorno ai quali ruota e procede l’intero anno liturgico. Le due feste sono interdipendenti, nell’una è iscritta l’altra e l’una racconta già l’altra, tanto che i libri liturgici danno anche al Natale il titolo di “Pasqua della Natività”. Come prima di Pasqua c’è un lunghissimo ed elaborato periodo di preparazione, anche il Natale è preceduto e preparato da un digiuno della durata di 40 giorni, con inizio il 15 novembre (28 v. c.), chiamato appunto “Quaresima del Natale”. Il tempo trova in Cristo il suo cardine. Prima di Cristo la storia si dirige verso di lui, riceve da lui il suo orientamento messianico e la sua tensione; è il tempo della gestazione, della prefigurazione e dell’attesa. Come i quarant’anni del deserto, i quaranta giorni del digiuno di Cristo, i quaranta giorni della Grande Quaresima, sono i giorni della attesa prima di giungere alla «terra promessa». Così il tempo della quaresima rappresenta in compendio la totalità della storia, il tempo dell’attesa. Il Natale, dunque, non è soltanto una festa, ma va compreso come «un tempo di festa», quando la luce cresce, crescit lux.
A partire dall’1 dicembre, il pensiero della venuta del Salvatore pervade sempre di più la liturgia attraverso la commemorazione dei profeti, che annunziarono il suo avvento nella carne: Naum l’1; Abacuc il 2, Stando sulla sua divina vedetta, il venerabile Abacuc ha udito il mistero ineffabile del tuo avvento tra noi, o Cristo, e con tutta chiarezza profetizza l’annuncio che si farà di te…; Sofonia il 3, Tramite lo Spirito, il profeta ha predetto il salvifico avvento del Cristo Dio nostro, e ha vaticinato la salvezza per tutte le genti; Aggeo il 16; Daniele il 17, Daniele, uomo dilettissimo, avendoti contemplato, o Signore, come pietra tagliata senza opera d’uomo, ha preannunziato come bambino generato senza seme te, Logos incarnato dalla Vergine, Dio immutabile e Salvatore delle anime nostre.
Nelle domeniche immediatamente precedenti il 25 dicembre (7 gennaio v. c.), ci sono commemorazioni speciali che enfatizzano il legame fra il Vecchio ed il Nuovo Testamento. La domenica dopo l’11 dicembre è detta “dei Santi Progenitori”, in essa si fa memoria dei Progenitori di Cristo secondo la carne, vissuti prima e sotto la Legge, vengono commemorati in particolar modo i tre patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe. La domenica successiva al 18 è detta “Domenica che precede la Natività di Cristo”, o più comunemente “dei Santi Padri”, e si mantiene nel solco della memoria dei progenitori ed antenati di Cristo. In essa si commemorano tutti i giusti, uomini e donne, che piacquero a Dio dall’inizio del tempo, dai giorni di Adamo il primo uomo a Giuseppe, lo sposo della Madre di Dio. Avvicinandosi in questo modo il Natale, il fedele è messo in grado di vedere l’Incarnazione non come un inaspettato ed irrazionale intervento del divino, ma come il culmine di un processo che si estende per migliaia di anni.
La “Previgilia di Natale” comincia il 20 dicembre, e da questo punto in avanti molti dei testi sono direttamente legati alla Natività di Cristo. La Vigilia di Natale è conosciuta con il nome speciale di “paramonì” (attesa o vigilia – in slavonico “navechèrie”). I servizi assumono una forma particolare, le Ore sono più lunghe rispetto all’ordinario e sono definite “Grandi Ore” o “Ore Regali”, perché nel periodo bizantino erano seguite dall’Imperatore e dalla Corte. Esse sono seguite dai Grandi Vespri e dalla Liturgia di san Basilio, vestigia della vigilia primitiva. Essa è attualmente seguita da uno sviluppo più recente che è la vigilia attuale, e l’indomani, giorno della festa, si celebra la liturgia festiva di san Giovanni Crisostomo. Alla sera i Vespri della festa.
Come dicevamo all’inizio i libri liturgici chiamano ‘Pasqua’ anche questa festa. Vogliono quindi equipararla, alla “festa delle feste”, in quanto l’inizio del “passaggio” del Figlio di Dio fra noi. Nel giorno di Natale i servizi commemorano non soltanto la nascita di Cristo a Betlemme e l’adorazione dei pastori, ma anche l’arrivo dei Magi con i loro doni in oro, incenso e mirra. Questo ad indicare come veramente il Logos s’è fatto carne e quale vero Dio fatto uomo viene adorato da tutte le genti. Gli inni di questo giorno certo non tralasciano i pittoreschi dettagli sui familiari e semplici elementi della storia del Natale: il bambino avvolto in fasciature e deposto nella mangiatoia, l’asino e il bue, i pastori che guardano le loro greggi; ma sono tuttavia incentrati non sul “bambinello Gesù”, ma piuttosto nella paradossale unione dell’umanità con la divinità: “un piccolo bambino, il Dio eterno” come ci dice il kontakion della festa: questo è il supremo e cruciale significato della festa del Natale. Senza cessare di essere ciò che Egli è dall’eternità “vero Dio – Uno della Santa Triade”, tuttavia divenne veramente ed interamente uomo, nato come un bambino da una madre umana. Questo è il tema che, sotto diverse forme, i testi liturgici del giorno continuamente cantano, il “contrasto” fra il divino e l’umano nella sola Persona del Cristo Incarnato. Egli che formò il mondo ora “prende forma” di creatura; il Creatore crea Se stesso. “Colui che tiene l’intera creazione nel palmo della mano, oggi nasce dalla Vergine”, si canta la Vigilia di Natale nell’Ora Nona; “più antico dell’antico Adamo”, Egli giace fra le braccia di Sua madre; il Signore della Gloria, che “scioglie le intricate corde del peccato”, è avvolto in fasce; Colui che è la divina Ragione (Logos) riposa in una mangiatoia di animali irrazionali (aloga); Colui che nutre l’universo intero, è alimentato ora con il latte.
Passaggi come questi sono più che un retorico “tour de force”: sono da intendersi come contributi alla comprensione di come strano e curioso sia il fatto che Dio divenga vero uomo. La Chiesa ci parla più del Figlio di Dio che si fa carne che dell’infante di Betlemme. Il Logos ha preso la nostra natura per trasformarla, per divinizzarla. Ci ha riconciliato con Dio. È il nuovo Adamo. È il primogenito delle nazioni. La Chiesa eleva i nostri pensieri al di sopra dell’umano pittoresco al quale saremmo tentati di attaccarci sino a Dio che ci appare in questo giorno. Poiché il fedele rimane, in spirito ai lati della mangiatoia, non è sufficiente per lui vedere, mentre giace nella paglia “il dolce Gesù, mite e tranquillo”; egli deve vedere più di questo. In questo spirito occorre vivere i quaranta giorni di digiuno come tensione e preparazione alla visione del Figlio di Dio fatto veramente Uomo, Lui “il generato dal Padre prima di tutti i secoli, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”.
A partire dall’1 dicembre, il pensiero della venuta del Salvatore pervade sempre di più la liturgia attraverso la commemorazione dei profeti, che annunziarono il suo avvento nella carne: Naum l’1; Abacuc il 2, Stando sulla sua divina vedetta, il venerabile Abacuc ha udito il mistero ineffabile del tuo avvento tra noi, o Cristo, e con tutta chiarezza profetizza l’annuncio che si farà di te…; Sofonia il 3, Tramite lo Spirito, il profeta ha predetto il salvifico avvento del Cristo Dio nostro, e ha vaticinato la salvezza per tutte le genti; Aggeo il 16; Daniele il 17, Daniele, uomo dilettissimo, avendoti contemplato, o Signore, come pietra tagliata senza opera d’uomo, ha preannunziato come bambino generato senza seme te, Logos incarnato dalla Vergine, Dio immutabile e Salvatore delle anime nostre.
Nelle domeniche immediatamente precedenti il 25 dicembre (7 gennaio v. c.), ci sono commemorazioni speciali che enfatizzano il legame fra il Vecchio ed il Nuovo Testamento. La domenica dopo l’11 dicembre è detta “dei Santi Progenitori”, in essa si fa memoria dei Progenitori di Cristo secondo la carne, vissuti prima e sotto la Legge, vengono commemorati in particolar modo i tre patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe. La domenica successiva al 18 è detta “Domenica che precede la Natività di Cristo”, o più comunemente “dei Santi Padri”, e si mantiene nel solco della memoria dei progenitori ed antenati di Cristo. In essa si commemorano tutti i giusti, uomini e donne, che piacquero a Dio dall’inizio del tempo, dai giorni di Adamo il primo uomo a Giuseppe, lo sposo della Madre di Dio. Avvicinandosi in questo modo il Natale, il fedele è messo in grado di vedere l’Incarnazione non come un inaspettato ed irrazionale intervento del divino, ma come il culmine di un processo che si estende per migliaia di anni.
La “Previgilia di Natale” comincia il 20 dicembre, e da questo punto in avanti molti dei testi sono direttamente legati alla Natività di Cristo. La Vigilia di Natale è conosciuta con il nome speciale di “paramonì” (attesa o vigilia – in slavonico “navechèrie”). I servizi assumono una forma particolare, le Ore sono più lunghe rispetto all’ordinario e sono definite “Grandi Ore” o “Ore Regali”, perché nel periodo bizantino erano seguite dall’Imperatore e dalla Corte. Esse sono seguite dai Grandi Vespri e dalla Liturgia di san Basilio, vestigia della vigilia primitiva. Essa è attualmente seguita da uno sviluppo più recente che è la vigilia attuale, e l’indomani, giorno della festa, si celebra la liturgia festiva di san Giovanni Crisostomo. Alla sera i Vespri della festa.
Come dicevamo all’inizio i libri liturgici chiamano ‘Pasqua’ anche questa festa. Vogliono quindi equipararla, alla “festa delle feste”, in quanto l’inizio del “passaggio” del Figlio di Dio fra noi. Nel giorno di Natale i servizi commemorano non soltanto la nascita di Cristo a Betlemme e l’adorazione dei pastori, ma anche l’arrivo dei Magi con i loro doni in oro, incenso e mirra. Questo ad indicare come veramente il Logos s’è fatto carne e quale vero Dio fatto uomo viene adorato da tutte le genti. Gli inni di questo giorno certo non tralasciano i pittoreschi dettagli sui familiari e semplici elementi della storia del Natale: il bambino avvolto in fasciature e deposto nella mangiatoia, l’asino e il bue, i pastori che guardano le loro greggi; ma sono tuttavia incentrati non sul “bambinello Gesù”, ma piuttosto nella paradossale unione dell’umanità con la divinità: “un piccolo bambino, il Dio eterno” come ci dice il kontakion della festa: questo è il supremo e cruciale significato della festa del Natale. Senza cessare di essere ciò che Egli è dall’eternità “vero Dio – Uno della Santa Triade”, tuttavia divenne veramente ed interamente uomo, nato come un bambino da una madre umana. Questo è il tema che, sotto diverse forme, i testi liturgici del giorno continuamente cantano, il “contrasto” fra il divino e l’umano nella sola Persona del Cristo Incarnato. Egli che formò il mondo ora “prende forma” di creatura; il Creatore crea Se stesso. “Colui che tiene l’intera creazione nel palmo della mano, oggi nasce dalla Vergine”, si canta la Vigilia di Natale nell’Ora Nona; “più antico dell’antico Adamo”, Egli giace fra le braccia di Sua madre; il Signore della Gloria, che “scioglie le intricate corde del peccato”, è avvolto in fasce; Colui che è la divina Ragione (Logos) riposa in una mangiatoia di animali irrazionali (aloga); Colui che nutre l’universo intero, è alimentato ora con il latte.
Passaggi come questi sono più che un retorico “tour de force”: sono da intendersi come contributi alla comprensione di come strano e curioso sia il fatto che Dio divenga vero uomo. La Chiesa ci parla più del Figlio di Dio che si fa carne che dell’infante di Betlemme. Il Logos ha preso la nostra natura per trasformarla, per divinizzarla. Ci ha riconciliato con Dio. È il nuovo Adamo. È il primogenito delle nazioni. La Chiesa eleva i nostri pensieri al di sopra dell’umano pittoresco al quale saremmo tentati di attaccarci sino a Dio che ci appare in questo giorno. Poiché il fedele rimane, in spirito ai lati della mangiatoia, non è sufficiente per lui vedere, mentre giace nella paglia “il dolce Gesù, mite e tranquillo”; egli deve vedere più di questo. In questo spirito occorre vivere i quaranta giorni di digiuno come tensione e preparazione alla visione del Figlio di Dio fatto veramente Uomo, Lui “il generato dal Padre prima di tutti i secoli, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”.
E. M., Palermo 2005
Bibliografia
– P. N. Evdokimov, “L’Ortodossia”, Bologna 1981.
– ID., “Teologia della bellezza. L’arte dell’icona”, Cinisello Balsamo 1990.
– M. Mari e Kàllistos Ware, “The Festal Menaion”, London 1969, pp. 52-55, in Italia Ortodossa (vecchia serie), anno VII n. 28 - 1984, trad. A. G.
– J.J.D.V., “Communauté orthodoxe de la S.te Trinite”, XII/12, 1979, p. 4-5, in Italia Ortodossa (vecchia serie), anno IV n. 16 – 1981, trad. A. G.
– ID., “Teologia della bellezza. L’arte dell’icona”, Cinisello Balsamo 1990.
– M. Mari e Kàllistos Ware, “The Festal Menaion”, London 1969, pp. 52-55, in Italia Ortodossa (vecchia serie), anno VII n. 28 - 1984, trad. A. G.
– J.J.D.V., “Communauté orthodoxe de la S.te Trinite”, XII/12, 1979, p. 4-5, in Italia Ortodossa (vecchia serie), anno IV n. 16 – 1981, trad. A. G.
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